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Ella Baffoni
Vandali a Foggia
14 Luglio 2014
Beni culturali
L'università quel luogo lo ha studiato, Stato e Provincia lo hanno vincolato, il Fai ha iniziative per riportarlo in uno stato decente. Invano. Il Comune ha emesso un'ordinanza di messa in sicurezza, che vale meno della carta su cui è scritta:

i terreni sono privati. Inviato l'11 luglio 2014.

Un villaggio neolitico. Una fattoria romana. Un quartiere medievale. Il casino di caccia di Federico II. Accanto, una masseria settecentesca e forse più antica. Periferia di Foggia, tra la superstrada per Candela e via di san Lorenzo. Dalla sterpaglia ecco i ruderi della Masseria Pantano, poco lontano il tratturo Foggia-Ordona-Lavello, così trascurato che il cartello che racconta uno dei percorsi della transumanza è stato cancellato dal sole.

E' il minore degli scandali. Lo scandalo vero è l'avanzata a tenaglia dell'edificazione di questa grande fetta di territorio, così importante per la città di Foggia, così abbandonata. Com'è possibile?

Federico II, convogliando le acque di un torrente vicino, aveva costruito qui un invaso – ancora visibile – a servizio del suo casino di caccia insieme al vivarium e ai padiglioni mobili. Qui ospitava amici e legazioni straniere, qui andava a caccia: al posto dei prati c'erano boschi ricchi di acqua e animali, altri ne aveva naturalizzati il re. Studi e scavi sono ancora da completare.

Poco più in là la Masseria reale, o Masseria Pantano, dal nome del luogo, san Lorenzo in Pantano. Un grande edificio rurale a volte, di cui restano vasti ambienti e si intravedono i piani sottostanti. Volte e archi abbracciati da fichi e rampicanti, semi sepolti da enormi cumuli di macerie, quasi fosse una discarica per calcinacci e scarti di mattonelle. Quasi come tutti i costruttori di Foggia si fossero dati di gomito: andate lì, per scaricare materiali inerti non si paga, in discarica sì. A difendere le mura, una rete da polli abbattuta in più parti, forse dai camion dei cantieri. Poco segnalata persino la “fossa granaria”, un pericolo per chi ci cadesse dentro.

Perché? Il luogo non è ignoto. L'università di Foggia lo ha studiato, il Fai ha fatto più di un'iniziativa per riportarlo in uno stato decente, convegni, manifestazioni, istanze al sindaco. Invano. Hanno ottenuto dal Comune un'ordinanza di messa in sicurezza che vale meno della carta su cui è stata scritta, e infatti.

La questione è che quei terreni sono privati – possibile che nessuno, in Soprintendenza o in Comune o in Regione, abbia pensato all'esproprio: è un bene culturale una zona così ricca, o no? – e che probabilmente i proprietari abbiano presentato proposte di edificazione. Già preesistenze neolitiche sono state conglobate negli scantinati di alcuni dei palazzi in costruzioni, le cui gru stringono d'assedio la Masseria Pantano.

Impossibile verificare le voci: sta di fatto che quando si chiede di chi sono quelle aree, molti cambiano discorso e distolgono lo sguardo. Persone potenti, certo. Tanto da cancellare un gran pezzo di storia di Foggia? Pensate: Federico II trasferì a Foggia la capitale del Regno delle Sicilie, prima a Palermo. Innamorato di questa città e conscio della sua posizione strategica, vi costruì un palazzo imperiale di cui poco resta, se non il portale accanto al Museo Civico. Ancor più importante, dunque, la testimonianza di pietra di Masseria Pantano.

Invece no. Invece la valanga di calcinacci fin dentro la Masseria. Invece una rovina forse accelerata dalla mano umana, vandalizzata, così che quel “dente cariato” sia cancellato più presto dall'orizzonte. C'è chi, invitato a un laboratorio urbanistico, assicura che in comune si prevede sia cementificata tutta l'area e che i cittadini sarebbero stati convocati per chieder loro qualche compensazione vogliano, una pista ciclabile o l'area giochi per bambini.

Intanto le gru avanzano, a tenaglia. Da un lato la superstrada, dagli altri i cantieri dei palazzi di speculazione. Non c'è una piazza, non c'è un ritrovo, l'unico luogo “sociale” è il centro commerciale. Negli edifici già costruiti, poche le case occupate davvero, ma si va avanti, le betoniere macinano cemento, i camion marciano, le gru s'affannano. La Masseria Pantano, la sua storia, la sua ricchezza di testimonianze non è che un trascurabile inciampo nella gloriosa edificazione di una brutta periferia in una città che sceglie di essere sempre più brutta. E perde se stessa.

Questo articolo è inviato contemporaneamente a l'Unità, blog"Città e Città"

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