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Monica Zicchiero
MoSe: Cantone a Venezia
20 Luglio 2014
MoSE
La cronaca della visita a Venezia del Commissario anticorruzione Raffaele Cantone in due articoli di Monica Zicchiero e Alberto Zorzi, e di
La cronaca della visita a Venezia del Commissario anticorruzione Raffaele Cantone in due articoli di Monica Zicchiero e Alberto Zorzi, e di Giuseppe Pietrobelli, Corriere del Veneto e Il Gazzettino, 18 luglio 2014

Corriere del Veneto IL CAPO DELL'ANTICORRUZIONE
INCONTRA MAGISTRATI e CONSORZIO:
«UN COMMISSARIO? VALUTEREMO»
di Monica Zicchiero e Alberto Zorzi,

VENEZIA – «Il commissariamento delle imprese corruttrici negli appalti pubblici è una norma storica. Il senso è: non solo ti mettiamo in carcere, ma non ti permettiamo di prenderti i soldi del reato che hai commesso. Ci proveremo ad applicarla anche a Venezia per il Mose». Strappa l’applauso della folla il presidente dell’Autorità Anticorruzione Raffaele Cantone, invitato a parlare di legalità e appalti con il senatore Felice Casson dall’associazione Umberto Conte in un teatro Aurora strapieno nonostante il caldo.

Dopo l’incontro con il Consorzio Venezia Nuova – «ho preso delle carte per approfondimenti » – e con la Procura di Venezia, a Marghera il magistrato si toglie giacca e cravatta e comincia a parlar chiaro. «Il commissariamento applicato alla Maltauro nel caso di Venezia ha un problema: qui non ci sono imprese aggiudicatarie perché non c’è mai stato un appalto». Tutto nasce dalla famosa legge speciale del 1984. «Una legge che ha attribuito denaro pubblico a privati che lo hanno gestito senza controllo», sottolinea. «Così la più grande opera pubblica in Italia viene sporcata perché la legge è stata fatta male e con deroghe di ogni tipo che hanno permesso una gestione privatistica di soldi pubblici - alza il sopracciglio Cantone - Adesso mi chiedo chi farà la manutenzione.

Sarà l’affare successivo e bisogna avere occhi aperti. Solo chi ha costruito l’opera, sa come funziona. Il famoso disegno dell’appalto che dura tutta la vita e anche oltre». Anche se proprio nel corso della visita al Consorzio il presidente Mauro Fabris gli aveva chiarito la sua posizione. «Noi vogliamo concludere i lavori e accelerare il più possibile la fase di avviamento - spiega - ma poi la modalità di gestione la sceglierà il governo. Noi come Consorzio non ci candideremo ». La questione della conclusione dei cantieri è l’altro punto caldo. «Mi pare poco praticabile l’idea di accantonare un’opera completata all’ 85 per cento», dice Cantone, ma dal pubblico si alzano contestazioni: «Hanno speso l’85 per cento dei soldi, non fatto l’85 per cento delle opere ». Lui alza le mani: «La politica si deve assumere la responsabilità di dire cosa va fatto». E al massimo può dire alla politica cosa non va fatto. Perché, come dice il senatore Casson, «il fatto che ci siano le stesse persone in campo e in galera nella prima e nella seconda Tangentopoli milanese e veneta è un modo di intendere gli affari».

Primo, non sottovalutare i corruttori. «In Italia corruttori ed evasori fiscali sono simpatici, è gente che se la sa cavare e nessuno si scandalizza se tornano in Parlamento. Invece devono essere considerati come i mafiosi ». Tra prescrizioni dimezzate per i reati di corruzione e falso in bilancio depenalizzato, Cantone critica il codice degli appalti, «che si applica sono agli sfigati è che per l’Expo è stato derogato 86 volte». Parole dure anche per la legge obiettivo, che ha fatto fare il salto di qualità al Mose, ma anche al sistema corruttivo. «I general contractor sono gli stessi dieci grandi costruttori che decidono il bello e il cattivo tempo delle opere pubbliche», avverte il magi- strato, secondo il quale servono sanzioni semplici ed esemplari: «I corruttori vanno allontanati dai posti di comandi e per i politici non deve esistere la presunzione di innocenza: deve esserci la certezza della specchiatezza». Resta solo la consolazione che nell’«affaire» Mose non ci sono infiltrazioni mafiose e che l’indagine è stata «da manuale », perché che ha dimostrato come la corruzione abbia permeato anche il sistema dei controlli. «Peggio Milano o Venezia? Peggio Venezia, secondo me», dice Cantone. Il magistrato alle tre era arrivato all’Arsenale per incontrare il presidente Fabris e il direttore Hermes Redi. «Ci eravamo già visti un paio di settimane fa, sono stati due incontri costruttivi e molto concreti - è stato il commento di Fabris - Lui vuole capire, noi con la massima trasparenza gli stiamo dando le informazioni che chiede».

Il presidente del Consorzio preferisce non entrare nel merito degli argomenti trattati, ma la posizione è piuttosto chiara: il sistema della concessione unica è stato creato con delle norme statali, e non c’è stata nessuna «privatizzazione», visto che il soggetto pubblico nel Mose c’è ed è il Magistrato alle Acque. Alle quattro e un quarto, sbarcando da un motoscafo della Guardia di Finanza, Cantone è invece arrivato in Procura a Venezia, dove ha incontrato il procuratore capo Luigi Delpino, il nuovo procuratore aggiunto Adelchi D’Ippolito (che ieri era in visita di cortesia, ma che si insedierà a settembre) e i tre pm che coordinano l’inchiesta sul Consorzio e sulla Mantovani: Stefano Ancilotto, Paola Tonini e Stefano Buccini. Il presidente dell’Anticorruzione ha spiegato che aveva la «necessità di parlare con i colleghi», ma ha spiegato di «non poter rivelare i contenuti del colloquio». In mezz’ora si è parlato dell’inchiesta (su cui peraltro era molto aggiornato) e appunto dell’applicabilità della norma sulle mazzette negli appalti al caso del Consorzio, oltre agli sviluppi futuri, anche dal punto di vista della tempistica.

Il GazzettinoMOSE, C'E' L'IPOTESI COMMISSARIO
di Giuseppe Pietrobelli,
Dilemma amletico in laguna dopo trent'anni di incontrastata solitudine decisionale del Consorzio Venezia Nuova che ha fatto e disfatto tutto ciò che ha voluto su salvaguardia e Mose, l'opera idraulica più grande e costosa mai pensata in Italia. Saranno commissariati imprese e lavori in corso di ultimazione alle bocche di porto, in base alla stretta voluta dal governo dopo lo scandalo dell'Expo 2015, pallido preludio del malaffare che sta venendo a galla a Nord Est?
Per dipanare la matassa di un problema giuridico, prima che politico, il commissario anticorruzione Raffaele Cantone ha compiuto ieri una visita in tre tappe a Venezia. La prima nella sede del Consorzio, per esaminare presupposti e conseguenze della possibile replica del modello-Maltauro, già operativa a Milano e Vicenza. La seconda in Procura della Repubblica, per verificare l'esistenza delle condizioni di applicabilità, ovvero il patto illecito che avrebbe condizionato l'esito degli appalti. La terza nel teatro Aurora di Mestre, per discutere con Felice Casson, senatore del Pd, della necessità di una crociata contro la tangentocrazia, da equiparare alla Mafia per effetti nefasti su società ed economia italiana.
In quella parte di Arsenale che il Consorzio ha trasformato negli anni in un'oasi verde di pace, dentro una cornice architettonica straordinaria, Cantone ha incontrato il presidente Mauro Fabris, il direttore Hermes Re-di e l'avvocato Alfredo Biagini. Ha guardato i computer che controllano la Laguna, i monitoraggi delle maree, i modellini del Mose. Poi, senza rompere -per il momento- il bel giocattolino (il governo ha assicurato che verrà portato a termine) ha ammesso: «La legge prevede la possibilità in presenza di fatti corruttivi dell'applicazione di alcuni strumenti, come il commissariamento delle imprese aggiudicatarie».
Ma per arrivare a tale conclusione deve fare i conti con «una legge speciale che risale al 1984, una scelta legislativa di altri tempi. È una situazione complicata, con un unico concessionario. Mi pare comunque strana l'idea che vengano chiamati i privati a gestire soldi pubblici e a realizzare le opere». Puntura di spillo rivelatrice di un orientamento, anche se il Commissario aggiunge: «Sono abituato a capire, prima di decidere». Per farlo deve risolvere il paradosso di poter commissariare le «imprese aggiudicatarie» che si identificano con la «stazione appaltante», il Consorzio da esse composto.
I1 presidente Mauro Fabris, quando Cantone se ne è andato, cogliendo il rischio di veder strappare il potere alla nuova gestione, assicura: «Il Commissario sta valutando l'applicabilita del decreto anticorruzione. Ma per farlo deve tenere conto se vi siano stati o meno elementi di discontinuità con la vecchia governane del Consorzio». A seguire, snocciola una litania di elementi di rottura: la nuova presidenza, il nuovo direttore, un nuovo organismo di vigilanza, la revoca delle deleghe ai vecchi dirigenti, il taglio delle spese estranee alla finalità originaria del Consorzio, la concentrazione sull'asset principale, che è il completamento del Mose entro il 2016.
«Si può aggiungere che in questa triste e schifosa vicenda i reati non sono stati commessi per ottenere gli appalti». Infatti, erano già stati assegnati, eppure il denaro scorreva a fiumi. Uscendo dal palazzo di giustizia, un'ora e mezzo dopo, Cantone ha ammesso di aver aggiunto un altro tassello alla sua indagine.
«Avevo la necessità di parlare con i procuratori, che mi hanno spiegato la situazione». Forse perché cercava le prove, agli atti, della corruzione? «Certamente quello è il presupposto per l'applicazione del decreto». E quindi per il commissariamento. Ma se n'è andato senza portare via documenti dell'inchiesta. A Marghera, davanti a una platea pidiessina foltissima, interessata al tema della legalità, Cantore si è poi lasciato andare ad altre ammissioni. «Nell'Expo di Milano i lavori non li farà più la società che ha pagato le tangenti, ma le sue maestranze, con una diversa amministrazione». Ecco la strada che potrebbe ripercorrere a Venezia. Anche perché Casson lo ha sollecitato ricordando che lo scandalo-Mose nasce «dalla creazione, voluta da centrodestra e centrosinistra, di fondi leciti da gestire senza rendicontazione: 11 è il marcio, il bubbone del Mose».

E Cantone, di rimando: «Un Comune qualsiasi deve seguire il Codice degli appalti, mentre qui sono stati spesi 6 miliardi senza averne fatto alcuno, perché non erano previsti dalla legge che ha assegnato ai privati la gestione, senza controllo, dei soldi pubblici». Affondo finale: «E questo, con il silenzio di tutti».

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