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Gaetano Azzariti
La destituzione non è sostituzione
14 Giugno 2014
Articoli del 2014
« L’estromissione di ogni voce dis­sen­ziente è un vul­nus irre­pa­ra­bile che incrina l’intero pro­cesso par­la­men­tare».

« L’estromissione di ogni voce dis­sen­ziente è un vul­nus irre­pa­ra­bile che incrina l’intero pro­cesso par­la­men­tare».

Il manifesto, 13 giugno 2014

La rimo­zione dei sena­tori Mario Mauro e Cor­ra­dino Mineo dalla Com­mis­sione affari costi­tu­zio­nali sol­leva tre ordini di pro­blemi giu­ri­dici. Si tratta, in primo luogo, di veri­fi­care la cor­ret­tezza dell’interpretazione del Rego­la­mento del Senato. In secondo luogo, di valu­tare la con­for­mità a Costi­tu­zione della deci­sione assunta. In terzo luogo, di con­si­de­rare gli effetti di tale deci­sone sul sistema poli­tico complessivo.

Per quanto riguarda il primo aspetto può dubi­tarsi che l’articolo 31 del Rego­la­mento possa legit­ti­mare l’estromissione di un com­po­nente per­ma­nente desi­gnato in base a quanto sta­bi­lito in via gene­rale dal pre­ce­dente arti­colo 21. Quest’ultimo, infatti, chia­ri­sce che spetta a cia­scun gruppo comu­ni­care alla pre­si­denza del Senato i pro­pri rap­pre­sen­tanti nelle com­mis­sioni e che que­ste sono rin­no­vate «dopo il primo bien­nio». Sem­bre­rebbe dun­que che l’indicazione dei gruppi debba essere tenuta ferma per almeno un bien­nio, anche per garan­tire una certa con­ti­nuità nei lavori. In que­sto qua­dro si col­loca l’articolo 31 che pre­vede invece la pos­si­bi­lità di «sosti­tu­zione» (non di «desti­tu­zione»), anche in via tran­si­to­ria, dei rap­pre­sen­tanti asse­gnati alle commissioni.

La ratio della norma, non­ché i pre­ce­denti, chia­ri­scono che — pro­prio a garan­zia della con­ti­nuità dei lavori delle com­mis­sioni e della pos­si­bi­lità di far acqui­sire “ulte­riori” com­pe­tenze in casi par­ti­co­lari — la sosti­tu­zione opera essen­zial­mente in due casi. Qua­lora un com­po­nente desi­gnato assume diversi ruoli (ad esem­pio diventa mini­stro o viene eletto al par­la­mento euro­peo), non potendo più garan­tire l’impegno neces­sa­rio per svol­gere al meglio il suo inca­rico, ovvero qua­lora, per casi par­ti­co­lari, si ritenga che un diverso com­po­nente del mede­simo gruppo par­la­men­tare possa for­nire un con­tri­buto “aggiun­tivo” e più con­forme alla mate­ria da deci­dere rispetto al mem­bro “sostituito”.

Que­sta dispo­si­zione del Rego­la­mento del senato, dun­que, è nata per esten­dere le com­pe­tenze e la fun­zio­na­lità delle com­mis­sioni, non come stru­mento disci­pli­nare nei con­fronti dei dis­sen­zienti. D’altronde, può dubi­tarsi che la “sosti­tu­zione” si possa otte­nere senza il con­senso dell’interessato. Com’è avve­nuto nei casi di Mauro e Mineo.

Si è asse­gnato in tal modo un potere asso­luto di disporre dei sin­goli par­la­men­tari agli organi diret­tivi dei gruppi, venendo a ledere i diritti dei sin­goli sena­tori. Non solo quelli defi­niti dai Rego­la­menti par­la­men­tari, ma anche quelli diret­ta­mente dedu­ci­bili dal testo della Costituzione.

In par­ti­co­lare, sul secondo aspetto, c’è da chie­dersi cosa rimanga del libero man­dato (arti­colo 67) se l’attività poli­tica del par­la­men­tare, con una deci­sione estem­po­ra­nea e puni­tiva del gruppo di appar­te­nenza, può essere impe­dita, osta­co­lando irri­me­dia­bil­mente l’esercizio delle sue essen­ziali fun­zioni. L’estromissione da una com­mis­sione non può essere giu­sti­fi­cata da una pre­sunta indi­sci­plina nei con­fronti della linea di un gruppo, ovvero di una mag­gio­ranza poli­tica. I par­la­men­tari, secondo Costi­tu­zione, rap­pre­sen­tano la nazione e — tanto più in mate­ria costi­tu­zio­nale — non sono vin­co­lati alla disci­plina di par­tito.

L’argomentazione del veto («nes­suno ha diritto di veto»), ovvero quella del voto (il suc­cesso elet­to­rale con­se­guito alle euro­pee) che si pro­pon­gono per giu­sti­fi­care l’estromissione dei dis­sen­zienti non hanno ovvia­mente alcun pre­gio costi­tu­zio­nale. Qui si discute di libertà di man­dato e del cor­retto fun­zio­na­mento delle isti­tu­zioni par­la­men­tari, le regole che chiun­que deve rispet­tare, in ogni caso, di fronte ad ogni pos­si­bile dis­senso poli­tico, quale che sia stato il risul­tato elet­to­rale. È la libera dina­mica poli­tica, i modi di for­ma­zione della volontà demo­cra­tica che si pon­gono in gioco.

Per quanto riguarda infine i riflessi sul sistema poli­tico com­ples­sivo ci si può limi­tare a ricor­dare che le logi­che par­la­men­tari negli ordi­na­menti demo­cra­tici devono essere impron­tate al con­fronto. Era Carl Sch­mitt che, nel disprezzo del carat­tere plu­ra­li­stico dell’ordinamento demo­cra­tico, affer­mava non ci si potesse fer­mare dinanzi «al tea­tro della divi­sione», con­si­de­rando in fondo un bene che la mag­gio­ranza deci­desse per la mino­ranza, poi­ché, in fondo, è un «assioma demo­cra­tico» quello che sta­bi­li­sce l’assorbimento delle voci dis­sen­zienti nell’unica volontà espressa nella deci­sione della mag­gio­ranza. Com’è noto, Hans Kel­sen aveva una diversa idea di demo­cra­zia, secondo la quale solo coin­vol­gendo le mino­ranze entro il pro­cesso di deci­sone col­let­tiva la volontà par­la­men­tare può assu­mere una sua legit­ti­ma­zione demo­cra­tica. Più impor­tante della deci­sone stessa è il modo con cui si decide e l’estromissione di ogni voce dis­sen­ziente è un vul­nus irre­pa­ra­bile che incrina l’intero pro­cesso par­la­men­tare. Un dibat­tito del secolo scorso. Siamo ancora lì.

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