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Tomaso Montanari
L'altra piazza di Firenze, per L'Altra Europa
24 Maggio 2014
Società e politica
L'appello dell'autore per Tsipras e L'Altra Europa da Firenze, dalla piazza della solidarietà e dell'accoglienza. 23 maggio 2014 (m.p.g.)

Con la prepotenza e la furbizia che ben conosciamo, stasera Matteo Renzi si è preso la piazza del potere. La piazza della Signoria. Ma gli lasciamo di buon grado la Signoria: noi siamo felici di essere nella piazza della solidarietà.

Qui, sei secoli fa, sorse il primo edificio del Rinascimento: ebbene, quell'edificio – lo Spedale degli Innocenti, di Pippo Brunelleschi – non era al servizio della politica intesa come potere. Ma al servizio della politica intesa come accoglienza, solidarietà, cura degli ultimi. Quel palazzo così bello era per i meno potenti di tutti: i bambini che nessuno voleva. Perché il senso vero della bellezza è la giustizia.
Oggi, al contrario, la bellezza di Firenze è una bellezza prostituita, schiava del potere e del denaro. Oggi i monumenti che ci hanno fatto comunità sono diventati la location dove banchettano le grandi banche mondiali. E non è un modo di dire: pochi giorni fa Santa Maria Novella ha chiuso le porte ai cittadini e ai turisti per ospitare un solenne rito di esclusione della Morgan Stanley, banca d'affari di New York.

Ma stasera voglio parlarvi di Shakespeare. Perché Shakespeare parla di noi.
Se dovessi spiegare a un marziano qual è lo stato presente dell'Europa, userei la storia del Mercante di Venezia. Noi siamo come Antonio, che ha chiesto e ottenuto un prestito. Oggi, poiché non possiamo restituire quel prestito, ecco che ci viene chiesta una libbra della nostra carne, tagliata nella parte più vicina al cuore. I macellai sono già all'opera: quella carne è il nostro stato sociale, il sostegno degli ultimi. Quella libbra di carne sono i nostri beni comuni, tagliati e venduti a vil prezzo. L'aria e l'acqua, inzuppate di veleni. Il paesaggio, che ogni governo schiaccia sotto il cemento. L'università, la ricerca e la scuola pubblica condannate a morte.

Quella libbra di carne è il patrimonio artistico: che dovrebbe servire a costruire l'eguaglianza sostanziale e produrre il vero sviluppo della persona umana, e che invece è l'ennesimo strumento di diseguaglianza, segregazione di classe, asservimento al mercato. Nel dramma di Shakespeare, gli amici di Antonio chiedono aiuto al doge di Venezia: cioè alla legge, allo Stato. Non è possibile consentire un simile massacro, gli dicono. Non è umano consentire il cannibalismo verso chi non può pagare un debito.
Qual è la risposta del doge? Ebbene, quella risposta ci suonerà familiare. Lo Stato si deve arrendere di fronte ad un contratto.

La forza del mercato è la vera sovranità: niente la può temperare, fermare, sovvertire. Sono i contratti e gli interessi che fanno la legge: e non il contrario. Non siamo noi nella stessa situazione? Non ci viene forse detto che lo Stato non può nulla; anzi deve esso stesso essere smontato, svenduto, neutralizzato?
La nostra Costituzione è riscritta nei fatti: l'articolo 1 suona ora così «La sovranità appartiene ai mercati che la esercitano senza limiti al di sopra di ogni legge e ogni principio etico». E parla ancora per noi Shakespeare, quando esclama: «Oh, se le proprietà, i gradi, le cariche pubbliche non venissero guadagnati con la corruzione!»

Nel Mercante di Venezia la salvezza arriva attraverso un cavillo. Il contratto parla solo di carne e non di sangue: non una goccia può essere versata, e dunque la libbra di carne non si può tagliare. È quel che proviamo a fare noi: ci viene promesso che saranno riviste le clausole dei trattati, che troveremo una scappatoia, che qualcuno chiuderà un occhio. Ma non siamo a teatro: nella realtà il coltello sta già tagliando la carne dei cittadini e del territorio.

Noi siamo qua stasera per dire che non vogliamo cavilli e scappatoie. Vogliamo un'Europa costruita sui diritti della persona, e non sulla forza selvaggia del mercato. Vogliamo una vera costituzione europea, basata sui principi fondamentali della nostra Costituzione: che sono i principi sui quali è nata l'Europa come progetto politico.
Proprio ora, in Piazza della Signoria Matteo Renzi sta dicendo cose che possono apparire non troppo lontane da queste. Sta parlando anche lui di un'Europa dei diritti. Sta dicendo la verità? Giudichiamolo dai fatti.

La legge elettorale che Renzi ha confezionato insieme a Silvio Berlusconi ha lo scopo dichiarato di ridurre la rappresentatività del Parlamento. Per avere meno intralci, per decidere più velocemente. Per lo stesso motivo Renzi e Berlusconi hanno già annunciato che il passo successivo sarà il presidenzialismo. Lo scopo dichiarato è quello di ridurre la "debolezza dei governi rispetto ai Parlamenti". Ebbene, queste sono le precise parole del documento con cui la banca d'affari JP Morgan, tra i grandi responsabili criminali della crisi, ci ha chiesto di cambiare la forma dello Stato: in un documento reso pubblico il 28 maggio 2013, quella banca sostiene che «le Costituzioni dei Paesi della periferia meridionale dell'Europa mostrano una forte influenza socialista, riflesso della forza politica delle sinistre dopo la sconfitta del fascismo», e che perciò vanno cambiate. Lo stesso documento addita l’Italia come scenario del «test essenziale di questo cambiamento».
E così, mentre Dario Nardella noleggia Firenze alla Morgan Stanley in cambio di qualche spicciolo di euro, Matteo Renzi vende la Costituzione della Repubblica alla JP Morgan in cambio del potere che possa saziare la sua smisurata ambizione personale.

Il nostro orizzonte è diverso. Il nostro fronte di resistenza è quello in cui si decide se oltre ad avere un'economia di mercato siamo anche rassegnati ad essere una società di mercato: ad essere, letteralmente, mercato. Ad essere, cioè, una società dove tutto – ma proprio tutto, niente escluso – si misura col metro del denaro. Una società in cui tutto ha un prezzo, e si può vendere e comprare. Una società in cui il declino dell'uomo pubblico è giunto all'estremo: e dunque una società formata dalla somma di tanti vissuti privati, ridotti alla mera dimensione economica.
Una società in cui parole come democrazia o politica non hanno più alcun senso.
Noi pensiamo che essere di sinistra voglia dire avere il coraggio di cambiare questa società.

Giuseppe Dossetti avrebbe voluto che nella nostra amata Costituzione un articolo che dicesse che: «La resistenza individuale e collettiva agli atti dei poteri pubblici che violino le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla presente Costituzione è diritto e dovere di ogni cittadino».
Noi siamo qua per dire che resisteremo. Ma anche per dire che resistere non basta. Vogliamo fare una rivoluzione. Una rivoluzione culturale, per cominciare.
Vogliamo cambiare l'Europa cambiando gli europei: rendendoli cittadini, non più sudditi.
Il momento è ora, non c'è più tempo per aspettare il domani.
Non c'è più tempo per aspettare il domani: lo hanno gridato gli studenti di storia dell'arte, tra le macerie dell'Aquila, che ancora aspetta la sua ricostruzione.

Lo gridiamo noi stasera tra le macerie della Repubblica e dell'Europa: non c'è più tempo per aspettare domani. È per questo che è essenziale eleggere donne e uomini capaci di costruire più Europa. Un'Europa giusta e democratica. Donne e uomini come quelli della Lista Tsipras.
Perché volga al suo termine – finalmente – la notte della democrazia.«La via da percorrere non è facile, né sicura. Ma deve essere percorsa, e lo sarà!» Così si chiude il Manifesto di Ventotene. il manifesto per un'Europa libera e unita. Il nostro manifesto.
Lo diciamo stasera, con una voce sola: «La via da percorrere non è facile, né sicura. Ma deve essere percorsa, e lo sarà!»

Viva la Costituzione italiana, viva la Sinistra, viva l'Europa!

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