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Francesco Indovina
Renzi, quale civiltà del lavoro?
17 Marzo 2014
Articoli del 2014
Renzi e il lavoro: torniamo al bracciantato. Una chiara descrizione del
Renzi e il lavoro: torniamo al bracciantato. Una chiara descrizione del

jobs act del presidente del Consiglio. La rottamazione dei valori fondanti della costituzione, di un secolo di lotte dei lavoratori, prosegue indisturbata, tra qualche mugugno e molte complicità. Dal "diario n. 252" dell'autore

Il governo Renzi, viene rappresentato come l’ultima spiaggia, lui stesso ne è convinto. Si tratta di un punto di vista che lo rafforza, non crede di potere trovare ostacoli e quindi osa.

Ha un’opinione pubblica favorevole, i critici di Renzi, non molti per la verità, si attaccano al suo stile, alle modalità comunicative, all’arroganza, perché non pare concreto (dove troverà le risorse?). Ma sono battuti dalla capacità di trovare slogan accattivanti, quello dei “dieci miliardi in tasca a dieci milioni di italiani” è un capolavoro comunicativo.

Ma se tralasciassimo quello che è un annunzio e ci si soffermasse su gli atti concreti mi sembra che sul quel poco ci sia tanto da dire. L‘unico atto concreto è quello sul lavoro, che mi pare non solo sbagliato in se stesso ma che disegni una società da rigettare. Dopo la riforma Fornero/Monti, non si pensava si potesse andare oltre, ma quella proposta da Renzi/Poletti ha fatto il miracolo.

Vediamo: i contratti a tempo determinato passano dalla durata di un anno a quella di tre anni; prima era possibile solo una proroga con dichiarazione della causale, ora si passa ad otto proroghe senza bisogna di dare spiegazioni sulle cause; prima tra un contratto e un altro dovevano passare 10-20 giorni, ora possono essere continuativi; in precedenza il numero dei contratti a tempo determinato doveva essere stabilito dai contratti collettivi, ora se il contratto collettivo non prevede il limite ci si assesta al 20% dell’organico.

Mi pare di poter dire che il mercato del lavoro viene disegnato sulle spalle dei contratti a termine, il contratto a tempo indeterminato riguarderà solamente l’organico di cui l’azienda non potrà fare a meno sul piano organizzativo e qualitativo, mentre il lavoro di routine, quello pesante, a bassa professionalità verrà assegnata a contratti a tempo determinato, lunghi tre anni nella migliore delle ipotesi, ma sempre insicuri, infatti possono essere interrotti a discrezione dell’azienda. Si può sottolineare che con questi contratti non è possibile che il lavoratore riesca a contrarre un mutuo per la casa, grave ma c’è di peggio. Sembra più grave la civiltà del lavoro che questi contratti delineano: precaria, marginale, sottomesso, ricattato. Non è questa la civiltà del lavoro che la sinistra, per quanto moderna, può accettare.

Se poi a questo capolavoro si aggiunge la parte dell’apprendistato siamo all’improntitudine: non c’è nessun impegno di assumere gli apprendisti, non è previsto un contratto (impegno) scritto, non c’è obbligo di una formazione teorica. L’apprendista è solamente carne da lavoro.

Insomma, non eravamo mai arrivati a fissare le regole secondo le quali l’impiego del lavoratore ricade sotto l’arbitrio del datore di lavoro. Su questa strada si può arrivare al contratto giornaliero, come quello dei braccianti meridionali sotto il caporalato.

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