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Aldo Garzia
Le 99 vite di Pietro Ingrao
30 Marzo 2014
Altri padri e fratelli
«Oggi è la festa dell’ex presidente della camera. Dirigente nel «gorgo» comunista, poeta, curioso profeta del futuro. Da Lenola a Montecitorio, e poi il Pci e il Crs. Un provinciale cittadino del mondo, «costretto» a schierarsi contro le ingiustizie del Novecento e del capitalismo. Un maestro per molte generazioni».

Il manifesto, 30 marzo 2014

I com­pleanni di Pie­tro Ingrao sono sem­pre occa­sione di rifles­sione sulla sua bio­gra­fia e sul suo pen­siero poli­tico. Quest’anno, com­pleanno numero 99 il 30 marzo, si è deciso di pro­muo­vere alcune ini­zia­tive nei luo­ghi della for­ma­zione del gio­vane Pie­tro: Lenola, città nativa; For­mia, dove fre­quentò il Liceo clas­sico Vitru­vio e sco­prì l’antifascismo degli inse­gnanti Gioac­chino Gesmundo e Pilo Arbe­telli uccisi alle Fosse Ardea­tine; Fondi (i primi rap­porti con alcuni intel­let­tuali); Roc­ca­gorga (si occupò della costru­zione di una Casa del popolo negli anni cin­quanta); Gaeta (le vacanze al mare, i ricordi di gio­ventù). Su que­sti luo­ghi molto amati dal festeg­giato scrive lo stesso Ingrao nei primi capi­toli dell’autobiografia (Volevo la luna, Einaudi, 2006) ricor­dando radici mai recise.

In qual­che occa­sione l’ex pre­si­dente della Camera, scher­nen­dosi, ci ha tenuto a sot­to­li­neare la sua for­ma­zione “pro­vin­ciale” indi­can­dola come un limite. In effetti, è arduo dire cosa sia l’«ingraismo» e a quali rife­ri­menti cul­tu­rali fac­cia rife­ri­mento (i con­ve­gni di que­ste set­ti­mane potreb­bero aggiun­gere ele­menti utili a capire).

Il fascino della per­so­na­lità di Ingrao – altro che pro­vin­cia­li­smo – sta nella sete di cono­scere, capire, appro­fon­dire senza arren­dersi a una visione acco­mo­dante e tec­ni­ci­stica della poli­tica. Per lui, quest’ultima non può pri­varsi di una dose di crea­ti­vità e uto­pia per ridi­se­gnare assetti sociali e ine­diti valori (basti ricor­dare la rifles­sione ingra­iana sui «nuovi beni» che pre­cede la vul­gata sui «beni comuni»). Da qui prende le mosse l’ingraismo, spe­ci­fica variante del comu­ni­smo italiano.

L’Ingrao poli­tico è stato spesso defi­nito uto­pi­sta e visio­na­rio per­ché la poli­tica resta per lui ten­sione morale e pro­getto, oltre che comu­ni­ca­zione con gli altri e un po’ pro­fe­zia del tempo futuro: non solo tec­nica o ammi­ni­stra­zione dell’esistente. Que­ste pecu­lia­rità ingra­iane non pia­ce­vano ai suoi «nemici» nel par­tito, a ini­ziare da Gior­gio Amen­dola fino ai «miglio­ri­sti» della cor­rente di Gior­gio Napo­li­tano. Resta tut­ta­via un mistero spie­garsi le ori­gini del pen­sare l’agire poli­tico così par­ti­co­lare da parte di un intel­let­tuale di Lenola, pro­fonda pro­vin­cia ita­liana, con scarsa cono­scenza della realtà inter­na­zio­nale, che in gio­ventù aveva una forte voca­zione per cinema e poe­sia.

Lo stesso Ingrao ha più volte ricor­dato come siano stati gli eventi tra­gici del Nove­cento (il fasci­smo, la guerra civile spa­gnola, la seconda guerra mon­diale) a sospin­gerlo oltre l’intimismo intel­let­tuale che avrebbe pre­fe­rito rispetto a un eccesso di vita pub­blica. Ingrao appar­tiene alla gene­ra­zione che è stata “costretta” a fare poli­tica. Del fascino gio­va­nile per la parola faranno fede pun­ti­glio­sità e per­fe­zio­ni­smo che sono restati al poli­tico negli scritti e nelle interviste.

Dopo la morte di Pal­miro Togliatti nel 1964, Ingrao ini­zia a par­lare insieme ad altri di «nuovo modello di svi­luppo» per supe­rare l’orizzonte della «demo­cra­zia pro­gres­siva» che non poteva por­tare il Pci al governo causa con­ven­tio ad exclu­den­dum. A spin­gerlo in quella dire­zione può essere stata la pro­fonda cono­scenza della società agri­cola (tor­nano le radici di Lenola e din­torni) che si andava tra­sfor­mando in realtà mar­gi­nale nell’Italia che diven­tava società pre­va­len­te­mente indu­striale. Il nome di Ingrao – inno­va­tore per eccel­lenza, con­ser­va­tore solo quando si trattò di scio­gliere il Pci – è spesso legato all’analisi pun­tuale delle tra­sfor­ma­zioni del capi­ta­li­smo ita­liano, alla sol­le­ci­ta­zione della demo­cra­zia par­te­ci­pa­tiva, allo stu­dio siste­ma­tico del potere decen­trato degli enti locali, alla riforma delle isti­tu­zioni e – negli anni Ottanta – alla crisi degli stati nazione e all’affacciarsi sulla scena dell’Europa poli­tica come ipo­tesi (Masse e potere del 1977, la con­ver­sa­zione con Romano Ledda Crisi e terza via del 1978, Tra­di­zione e pro­getto del 1982 sono libri che trac­ciano un per­corso). Il Crs da lui pre­sie­duto prima e dopo l’incarico di pre­si­dente della camera (1976–1979) è stato inol­tre fucina di discus­sioni, ricer­che e for­ma­zione di varie gene­ra­zioni di studiosi.

Chi ha amato da gio­vane cinema e poe­sia prima di diven­tare uno dei mas­simi diri­genti del Pci, deve aver guar­dato al fare poli­tica in modo tota­liz­zante come un limite, pur accen­tan­done la disci­plina (la «ragione di par­tito»). E deve aver con­ser­vato la curio­sità intel­let­tuale per altre forme di pen­siero e di lin­guaggi che non fos­sero la poli­tica. Nono­stante la lau­rea in giu­ri­spru­denza, che gli tor­nerà utile quando diri­gerà il Cen­tro riforma dello Stato (Crs) a ini­ziare dal 1975 e si occu­perà di decen­tra­mento e forme della demo­cra­zia, nel pen­siero di Ingrao è più il pro­getto che la norma la prin­ci­pale preoccupazione.

Con la forza delle idee, ha lasciato un’impronta sulle discus­sioni più vitali degli ultimi cinquant’anni della sini­stra ita­liana. Forse è stata la for­ma­zione cul­tu­rale fatta di approcci plu­rali e non orto­dos­sa­mente mar­xi­sta a favo­rire la ricerca imper­niata sul moni­to­rag­gio di cul­ture – com­presa quella cat­to­lica – e movi­menti che chie­de­vano al Pci di rin­no­varsi e di stare al passo coi tempi. È stato ad esem­pio pro­prio Ingrao, con il Crs, a pro­muo­vere i primi con­ve­gni sulla sini­stra euro­pea e il pos­si­bile destino dell’Europa. Ne sono la riprova gli Annali di poli­tica euro­pea pub­bli­cati dal Crs dal 1988 al 1993 insieme al con­ve­gno sul «caso sve­dese» pro­mosso addi­rit­tura nel 1983 in cui si discusse delle con­qui­ste social­de­mo­cra­ti­che del wel­fare di Stoccolma.

L’Ingrao stu­dioso e inno­va­tore non può quindi essere sepa­rato dall’Ingrao diri­gente di primo piano del Pci. Quello che ha diretto l’Unità per dieci anni (1947–1957), che nel 1966, all’XI Con­gresso del Pci (il primo dopo la morte di Togliatti), pose il pro­blema del plu­ra­li­smo interno e della liceità del dis­senso legan­dolo a un’altra let­tura delle moder­niz­za­zioni che attra­ver­sa­vano l’Italia (il suo applau­di­tis­simo inter­vento è pas­sato alla sto­ria per quel «non mi avete con­vinto», con­tiene però una vera e pro­pria ana­lisi alter­na­tiva a quella impe­rante in que­gli anni nel par­tito e andrebbe riletto in quella chiave). È stato pre­si­dente del Gruppo del Pci per due legi­sla­ture (1964–1972), prima di salire sullo scranno più alto di Montecitorio.

Nac­quero a ini­ziare dagli anni Ses­santa varie gene­ra­zioni di «ingra­iani», alcuni della prima die­dero vita a il mani­fe­sto e si sepa­ra­rono dall’antico mae­stro rima­sto fedele al par­tito (il «gorgo», dirà oltre trent’anni dopo in un semi­na­rio ad Arco della sini­stra comu­ni­sta interna ed esterna al Pci che si poneva il pro­blema di cosa fare dopo la «svolta» di Achille Occhetto). Una fedeltà riba­dita al par­tito fino al 1993, quando decise di abban­do­nare il Pds. Prima ancora c’era stato il rifiuto a ripe­tere l’esperienza di pre­si­dente della camera (Ingrao disse no alla pro­po­sta fat­ta­gli da Enrico Ber­lin­guer) per­ché aveva voglia di tor­nare a stu­diare immer­gen­dosi nell’attività di ricerca del Crs. I limiti dell’Ingrao poli­tico sono l’altra fac­cia delle spe­ci­fi­cità dell’Ingrao intel­let­tuale che abbiamo ricor­dato fin qui. Non è mai stato un poli­tico puro, forse ha perso alcune occa­sioni per ren­dere più inci­siva la sua azione nel Pci.

Nell’ultimo ven­ten­nio Ingrao non ha mai smesso di pen­sare, scri­vere, par­lare, par­te­ci­pare alle mani­fe­sta­zioni con­tro la guerra in Kosovo, Afgha­ni­stan, Iraq. È sem­pre stato un punto di rife­ri­mento per la sini­stra critica.

Negli anni Novanta ha pro­vato a ricon­giun­gersi con il mani­fe­sto, par­te­ci­pando prima all’esperienza del Cer­chio qua­drato (inserto set­ti­ma­nale curato da Ida Domi­ni­janni) e poi alla seconda serie della rivi­sta men­sile diretta da Lucio Magri. Del resto, tra le sue auto­cri­ti­che c’è sem­pre stata quella di non essersi oppo­sto nel 1969 alle radia­zioni dal Pci di Luigi Pin­tor, Ros­sana Ros­sanda, Aldo Natoli, Luciana Castel­lina, Valen­tino Par­lato, Lucio Magri, Eli­seo Milani, Filippo Maone e tanti altri. Con Ros­sanda ha scritto nel 1995 il libro Appun­ta­menti di fine secolo segna­lando la quan­tità di pro­blemi irri­solti che il Nove­cento con­se­gnava al secolo nuovo.

A ini­ziare dal 1986, sen­ten­dosi chissà libero dal ruolo di diri­gente di par­tito, Ingrao pub­blica final­mente i suoi libri in versi. Si ripe­terà quando la scom­parsa del Pci gli porrà il pro­blema di usare un altro lin­guag­gio – più com­plesso e meno certo di quello della poli­tica – per capire le novità legate al crollo del Muro di Ber­lino. Il dub­bio dei vin­ci­tori (1986), L’alta feb­bre del fare (1994) e Varia­zioni serali (2000) sono le sue anto­lo­gie poe­ti­che. Nel primo volume Ingrao fa i conti con uto­pia, scon­fitta, e dub­bio. Nel secondo, le domande riguar­dano il «fare» come limite. Le poe­sie di Varia­zioni serali sono infine elo­gio dell’esi­tare. Se c’è un filo che lega que­sta ideale tri­lo­gia, va ricer­cato nella sot­to­li­nea­tura delle emo­zioni indi­vi­duali alla ricerca di senso: un’attenzione a temi che pur­troppo la poli­tica ignora. Il vec­chio Pie­tro ritorna attento come in gio­ventù ai segni seman­tici delle parole, ad ambi­guità e incom­piuto. Con que­sta scelta ci stu­piva ancora una volta come quando in una inter­vi­sta – già ultraot­tan­tenne – svelò l’interesse per la video­mu­sic che lega forme e ritmi diversi della comunicazione.

C’è un dolore in que­ste gior­nate di festa per il com­pleanno numero 99. È l’assenza di Laura Lom­bardo Radice (quest’anno avrebbe com­piuto 101 anni), la sua amata com­pa­gna, che un libro curato da Chiara Ingrao (Sol­tanto una vita, 2005) ci ha resti­tuito nella sua com­ples­sità bio­gra­fica. A fare com­pa­gnia a Pie­tro ci sono i figli Chiara, Renata, Guido, Bruna e Cele­ste, i nipoti e i pro­ni­poti. E ci sono i tanti che vogliono bene a Ingrao e pro­vano a ispi­rarsi a quel sin­go­lare metodo del pen­sare e fare che è l’«ingraismo».

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