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Alberto Asor Rosa
La rivoluzione moderata e la nascita del nuovo politico
16 Gennaio 2014
Articoli del 2014
Una intelligente analisi del renzismo, con una conclusione molti "politicistica" secondo il suo stesso audace autore.

Una intelligente analisi del renzismo, con una conclusione molti "politicistica" secondo il suo stesso audace autore.

Il manifesto, 16 gennaio 2014

Prima di entrare nel merito della deli­cata mate­ria poli­tica, cui que­sto arti­colo intende fare rife­ri­mento, devo con­fes­sare una mia per­so­nale dif­fi­coltà, o sto­rico disa­gio, che potrebbe ren­dere quanto segue alta­mente opi­na­bile. E cioè: quando il dis­senso poli­tico diventa abis­sale, si tra­sforma in una dif­fe­renza antro­po­lo­gica, che lo fonda e giu­sti­fica. Per quanto mi riguarda è così che io guardo Mat­teo Renzi, il nuovo e bril­lante lea­der della sini­stra ita­liana. E’ come se lui ed io appar­te­nes­simo a mondi diversi, inco­mu­ni­ca­bili. Per­ciò dicevo della mia dif­fi­coltà di costruirci un discorso ragio­ne­vole sopra. Sarebbe come se al mar­ziano di Fla­iano si fosse chie­sto di for­mu­lare un ocu­lato giu­di­zio poli­tico sui fre­quen­ta­tori dei caffè di Via Veneto, o anche vice­versa (ai tempi suoi, s’intende: adesso anche lì è tutt’altra cosa).

Tutto ciò — lo dico senza iro­nia e senza nes­suna auto­con­di­scen­denza affa­bu­la­to­ria — pende gra­ve­mente a mio sfa­vore. Lui è il nuovo che avanza, con tutta la forza dirom­pente della sua totale (anche ana­gra­fica) igno­ranza del pas­sato. Io sono il pas­sato che guarda con sbi­got­ti­mento al pre­sente, con la pre­tesa, oggi total­mente, anzi comi­ca­mente vana, che la cono­scenza del pas­sato, e il tenerne conto, come si faceva una volta, pos­sano por­tare ancora qual­che pic­colo ele­mento di pre­vi­sione, e di azione, per il pre­sente. Ma allora, se della poli­tica abbiamo due nozioni e cre­denze net­ta­mente oppo­ste, per­ché pre­su­mere di giu­di­care una delle due poli­ti­che dalla spe­cola di osser­va­zione di una con­ce­zione della poli­tica che le è esat­ta­mente oppo­sta? Sap­pia per­ciò il let­tore — lo dico per one­stà intel­let­tuale — che que­sto arti­colo sarà mar­cato nega­ti­va­mente da que­sta forte pregiudiziale .

Ridurrò il resto ad alcune con­si­de­ra­zioni basi­lari, anzi, a que­sta sparsa “let­tura del testo”, che illu­mini (forse) il punto in cui siamo.

1. L’ho già detto in altre occa­sioni, ma in esor­dio voglio tor­nare e ricor­darlo. Renzi, e il ren­zi­smo, il quale già gli è nato e anzi pro­spera vigo­ro­sa­mente accanto, rap­pre­senta l’approdo finale della lunga para­bola ini­ziata ven­ti­cin­que anni fa con la Bolo­gnina di Achille Occhetto. Qual è l’essenza di que­sta para­bola? L’essenza di que­sta para­bola è la can­cel­la­zione, oggi ormai totale e irre­ver­si­bile, della tanto vitu­pe­rata “diver­sità comu­ni­sta” (cioè della pre­tesa, abo­mi­ne­vole agli occhi di molti, di fare poli­tica in modo diverso per obiet­tivi diversi).
Que­sta can­cel­la­zione incide tanto più pesan­te­mente sul pano­rama poli­tico ita­liano in quanto non ha dato luogo, come si poteva pen­sare e spe­rare, alla nascita di un’opzione socia­li­sta. Il crollo del vec­chio socia­li­smo, in ragione fon­da­men­tale (ma non solo) della cam­pa­gna giu­di­zia­ria di Mani pulite, e il rifiuto, da stu­diare ancora fino in fondo, della diri­genza post-comunista di suben­trar­gli in quel ruolo, hanno pro­dotto que­sto uni­cum nella sto­ria euro­pea degli ultimi due secoli: l’Italia è l’unico paese in Europa in cui non esi­ste un par­tito socia­li­sta.
Il con­ti­nuo decalage auto­de­fi­ni­to­rio — Pci, Pds, Ds, Pd… — e cioè in buona sostanza l’incertezza pro­fonda su cosa si è e soprat­tutto su cosa si vuole essere o diven­tare, ha pro­dotto la per­dita di qual­siasi iden­tità cul­tu­rale e ideale. Il ren­zi­smo replica: che biso­gno ce n’è? La poli­tica ne pre­scinde. Intanto andiamo avanti a tutta birra. Poi, even­tual­mente, si vedrà.

2. Come già accen­navo, la chiave di tutta que­sta sto­ria sta nell’incredibile serie di errori com­messi dalla vec­chia diri­genza post comu­ni­sta (che non abbiamo né spa­zio né voglia di appro­fon­dire in que­sta sede, ma diamo ormai per sto­ri­ca­mente appu­rati). L’ultimo sopras­salto iden­ti­ta­rio si veri­fica quando Ber­sani scon­figge net­ta­mente Renzi alle pri­ma­rie del 2012. Il genio del ren­zi­smo con­si­ste nell’avere colto il momento in cui lo sfi­ni­mento del vec­chio gruppo diri­gente lascia aperte le porte al più dra­stico dei rove­scia­menti. Tale rove­scia­mento con­si­ste essen­zial­mente di tre aspetti:

a) Renzi sosti­tui­sce la forza ple­bi­sci­ta­ria del con­senso alla gerar­chia orga­niz­zata e sca­lare (e tal­volta un po’ omer­tosa) del Par­tito. Cioè, in sostanza, nega l’utilità e l’opportunità in re del Par­tito, il quale resta come un puro guscio, la ban­diera da sven­to­lare (ma nean­che troppo, spesso quasi per niente) nelle occa­sioni uffi­ciali. Cioè: cam­bia la nozione stessa di demo­cra­zia, che que­sto paese bene o male ha pra­ti­cato dal ’45 a oggi (tute­lata, se non erro, da certi aspetti non irri­le­vanti della nostra Costituzione);

b) Insieme con l’utilità e l’opportunità del pro­prio Par­tito (e, più in gene­rale, della forma par­tito in quanto tale), nega l’utilità e l’opportunità della rap­pre­sen­tanza par­la­men­tare. Infatti, tra­di­zio­nal­mente, fra il corpo degli eletti, i quali, almeno teo­ri­ca­mente, dovreb­bero rap­pre­sen­tare l’autentica volontà popo­lare, e la dire­zione del Par­tito cor­ri­spon­dente c’è sem­pre stata (almeno dopo la chiu­sura, per il Pci, della fase sta­li­niana) una dia­let­tica di con­fronto e di scam­bio. Oggi la rap­pre­sen­tanza par­la­men­tare viene trat­tata alla stre­gua di una sem­plice ese­cu­trice dei dik­tat pro­ve­nienti dalla dire­zione renziana;

c) La poli­tica si dispiega, per il verbo ren­ziano, come la serie di atti che ser­vono a rag­giun­gere il più rapi­da­mente ed effi­ca­ce­mente pos­si­bile quel deter­mi­nato risul­tato. La dire­zione di mar­cia dell’intero pro­cesso, e i suoi riflessi sulla situa­zione sociale, cul­tu­rale ed etico-politica del paese, restano nell’ombra. Pro­ba­bil­mente ci sono, ma meno si vedono e meglio è (o forse, se si vedes­sero, sarebbe molto peg­gio). Come si dice a Roma “famo a fidasse”.

3. Se le osser­va­zioni pre­ce­denti sono mini­ma­mente fon­date, salta all’occhio che le carat­te­ri­sti­che “nuove” del ren­zi­smo (cioè la velo­cis­sima rivo­lu­zione acca­duta negli ultimi due anni nel campo della sini­stra mode­rata) sono enor­me­mente simili a quelle già veri­fi­ca­tesi nel corso degli anni pre­ce­denti nel centro-destra e nella realtà poli­tica del dis­senso e dell’opposizione popo­lari.

Per vin­cere Sil­vio Ber­lu­sconi e Beppe Grillo — cosa che non era sta­bil­mente acca­duta mai alla vec­chia diri­genza post-comunista e post-democristiana — occor­reva seguirli sul loro stesso ter­reno. Que­sto mi pare dav­vero incon­fu­ta­bile: lea­de­ri­smo asso­luto, popu­li­smo ple­bi­sci­ta­rio, discreto disprezzo dei mec­ca­ni­smi isti­tu­zio­nali e costi­tu­zio­nali, rifiuto del sistema-partito e del sistema-partiti, rot­tura degli schemi della vec­chia, logora e con­sunta imma­gine del poli­tico ancien régime, sono i punti di forza del “nuovo poli­tico” al di là e al di qua dei tra­di­zio­nali, anch’essi ter­ri­bil­mente obso­leti, limiti politico-ideali, destra, sini­stra, e quant’altro ci viene dal pas­sato. Il “nuovo poli­tico” non ha avver­sari: ha solo con­cor­renti, da bat­tere più o meno sul loro stesso ter­reno. Fra loro potreb­bero per­sino inten­dersi: e non è detto che almeno su certi ter­reni, per esem­pio la nuova legge elet­to­rale, que­sto non accada.

4. Il dato forse più signi­fi­ca­tivo di tale pro­cesso è che esso ha acqui­sito rapi­da­mente un vasto con­senso popo­lare. Il “popolo” (insomma, più esat­ta­mente, un quo­ziente piut­to­sto vasto dell’elettorato del Pd, con rami­fi­ca­zioni signi­fi­ca­tive negli altri elet­to­rati) segue Renzi su que­sta strada. Da più parti si sente ripe­tere: «Con Renzi si vince». Importa meno sapere “cosa si vince”, pur­ché sia rag­giunta una ragio­ne­vole sicu­rezza che “con Renzi si vince”. Dun­que, lea­de­ri­smo, popu­li­smo ple­bi­sci­ta­rio, liqui­da­zione dei par­titi, un discreto disprezzo per il gioco par­la­men­tare e per le isti­tu­zioni che lo garan­ti­scono, hanno fatto brec­cia in pro­fon­dità. Media — organi di stampa, tele­vi­sioni, opi­nion makers — si alli­neano sem­pre più entu­sia­sti­ca­mente. Uomini ine­qui­vo­ca­bil­mente di sini­stra (Ven­dola, Lan­dini) sem­brano guar­dare con sim­pa­tia alle pos­si­bi­lità di mano­vra, che il “nuo­vi­smo” ren­ziano con­sente loro (per forza, meglio che star fermi, oppure restare per sem­pre marginali!).

5. Dun­que, c’è stato, come sem­pre accade in que­sti casi, un pro­cesso di reci­proco rico­no­sci­mento tra il lea­der nascente e le masse mutanti (ne hanno discorso recen­te­mente Euge­nio Scal­fari ed Erne­sto Galli della Log­gia rispet­ti­va­mente su la Repub­blica e il Cor­riere della Sera: tor­nerò pros­si­ma­mente su tale argo­mento). Si potrebbe ragio­nare a lungo su tali pro­cessi. Quel che conta è però che siano avve­nuti. Con­sta­tarlo non signi­fica però sapere come con­trap­por­visi. Anzi: è dif­fi­cile inter­porsi soprat­tutto nel momento stesso in cui, come accade ora, tale con­giun­gi­mento avviene. E tut­ta­via, il momento in cui il con­giun­gi­mento avviene è però anche quello in cui una pos­si­bile inter­po­si­zione va ela­bo­rata e pre­sen­tata; altri­menti la par­tita è chiusa come minimo per un decen­nio. Ma qui con­ciano i dolenti lai. Non si tratta infatti di con­trap­porre sol­tanto un’ipotesi poli­tica a un’altra, per ora pre­va­lente. Si tratta, per rie­su­mare una vec­chia, dete­sta­tis­sima ter­mi­no­lo­gia, di ricreare una cul­tura poli­tica della sini­stra, anco­rata alla tra­di­zione (tutto quel che c’è di buono al mondo ha un pas­sato e una sto­ria) e al tempo stesso moderna, moder­nis­sima, più dell’altra che, tutto som­mato, non vede molto più al di là della punta del pro­prio naso. Ossia. comin­ciare a dire ragio­ne­vol­mente quel che si vuole e prima di dire come lo si vuole. Resta dun­que qual­cosa del pas­sato: diversi. Ma nuovi: non più comu­ni­sti. Que­sta è la scom­messa. Resta tutto som­mato cre­di­bile dal fatto che in Ita­lia di così ce ne sono tanti, li cono­sco e ci lavoro insieme. Dif­fi­cile è sten­dere la rete fra le loro non sem­pre facil­mente assi­mi­la­bili diver­sità. ma se si deve fare, si farà. In tempi di duris­sima care­stia è esat­ta­mente quello che biso­gna tor­nare a fare.

6. Prima di chiu­dere vor­rei esi­birmi nell’ultima far­ne­ti­ca­zione poli­tica, anzi poli­ti­ci­stica. Se le cose stanno come il pas­sa­ti­sta dice, biso­gne­rebbe evi­tare a ogni costo che il governo Letta cada e si vada, come gli homi­nes novi più o meno con­cor­de­mente auspi­cano, al voto.

Per tre motivi (almeno): a) biso­gna evi­tare che la destra si ricom­patti; b) biso­gna ela­bo­rare una buona legge elet­to­rale che senza equi­voci assi­curi in que­sto paese l’alternanza: il dop­pio turno e le pre­fe­renze (pos­si­bil­mente più di una), sono l’unico sistema in grado di farlo, e per otte­nerlo ci vorrà più tempo di quanto si pensi; c) abbiamo biso­gno di tempo per ela­bo­rare, pro­porre e imporre una nuova cul­tura poli­tica, della sini­stra, con le con­se­guenze che un tale pro­cesso potrebbe avere sull’intero assetto poli­tico e civile del paese.

Sono argo­men­ta­zioni para­dos­sali per uno che invita a resu­sci­tare la vecchio-nuova sini­stra? Sì, è vero. Ma il para­dosso è la nostra attuale con­di­zione di vita — per­sino della vita pub­blica e civile (tal­volta per­so­nale), oltre che poli­tica. Fare a meno del para­dosso oggi non si può. Per­ciò è neces­sa­rio astu­ta­mente governarlo

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