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Norma Rangeri
Berlusconiani e chierici
22 Gennaio 2014
Articoli del 2014
«La bat­ta­glia con­tro il nuo­vi­smo non si com­batte con la vec­chia logica cor­ren­ti­zia o con le trap­pole par­la­men­tari, la com­pe­ti­zione con una lea­der­ship ple­bi­sci­ta­ria non si svi­luppa in appar­tate riu­nioni di gruppi diri­genti».

«La bat­ta­glia con­tro il nuo­vi­smo non si com­batte con la vec­chia logica cor­ren­ti­zia o con le trap­pole par­la­men­tari, la com­pe­ti­zione con una lea­der­ship ple­bi­sci­ta­ria non si svi­luppa in appar­tate riu­nioni di gruppi diri­genti».

Il manifesto, 22 gennaio 2014

Fa impres­sione il coro di una­nime con­senso della stampa, dal Gior­nale a Repub­blica, per la grande riforma, per il frutto sboc­ciato dalla pro­fonda sin­to­nia tra Renzi e Berlusconi. Evi­den­te­mente chi pen­sava che il capo di Forza Ita­lia è la stessa per­sona pronta a can­cel­lare la Costi­tu­zione sovie­tica, chi è andato in piazza del Popolo, con Rodotà e Zagre­bel­sky, per difen­derla dagli attac­chi di un ven­ten­nio, non aveva capito niente.

Irre­fre­na­bile è scat­tato l’applausometro per la nuova legge elet­to­rale, infe­lice fin dal nome (l’hanno bat­tez­zata Ita­li­cum), un con­cen­trato che, tra pre­mio di mag­gio­ranza e soglie di sbar­ra­mento, tiene stretta la cami­cia di forza alla nostra asfit­tica demo­cra­zia (in quale paese se prendi il 35% dei voti hai il 60% dei seggi?). Tutto in nome di un bipo­la­ri­smo coatto, già spe­ri­men­tato nel 2008 da Vel­troni, che recu­però un po’ di voti al Pd, fece tabula rasa alla sua sini­stra e perse, con un distacco, quello sì sto­rico, con Berlusconi.

Al pre­giu­di­cato mira­co­lato dal rot­ta­ma­tore non sem­bra vero di essere tor­nato al cen­tro della scena. Ne dà testi­mo­nianza inviando atte­stati di stima al lea­der della parte avversa men­tre intanto si pre­para a repli­care il sor­passo, pun­tando a vin­cere le ele­zioni al primo turno gra­zie alla lunga filiera delle for­ma­zioni di destra.

Del resto una legge elet­to­rale di que­sta natura è lo spec­chio fedele del ren­zi­smo, di una poli­tica che va per le spicce, che mal sop­porta quel che resta del par­tito e dei par­titi, che vor­rebbe fare piazza pulita delle resi­due resi­stenze e veder­sela nella sfida con il vec­chio leone. Nella riu­nione della dire­zione del Pd, Renzi ha difeso la pro­fonda sin­to­nia col Cava­liere, e raf­for­zato il con­cetto: «Esprimo la mia gra­ti­tu­dine a Ber­lu­sconi per aver accet­tato di discu­tere». Ma se a discu­tere è il pre­si­dente del Pd, se Gianni Cuperlo non si inchina alla grande svolta e pole­mizza, allora il segre­ta­rio lo zit­ti­sce in malo modo, e l’altro anzi­ché tenere il campo e repli­care, stiz­zito getta la spu­gna e dà le dimissioni.

Che lo stile del sin­daco di Firenze sia un po’ bul­le­sco, che usi, verso chi lo cri­tica, argo­menti tipi­ca­mente ber­lu­sco­niani (io rispondo solo ai milioni che mi votano) non c’è chi non lo veda. Ma che l’opposizione interna sia messa male è altret­tanto evi­dente. Invece di dare bat­ta­glia sui con­te­nuti, Fas­sina prima e Cuperlo a ruota, con le dimis­sioni a catena sono evi­den­te­mente lon­ta­nis­simi dall’intercettare la sfida all’altezza in cui Renzi gliela lancia.

La bat­ta­glia con­tro il nuo­vi­smo non si com­batte con la vec­chia logica cor­ren­ti­zia o con le trap­pole par­la­men­tari, la com­pe­ti­zione con una lea­der­ship ple­bi­sci­ta­ria non si svi­luppa in appar­tate riu­nioni di gruppi diri­genti. Qui l’asticella è molto più alta, è tra chi sa par­lare alla gente attra­verso la tele­vi­sione e i cin­guet­tii e chi si attarda nelle litur­gie dell’organizzazione. Tra il ber­lu­sco­niano e il dale­miano, tra l’uomo nuovo e il chie­rico, non è dif­fi­cile pre­ve­dere chi è che si con­danna alla defi­ni­tiva irrilevanza

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