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Michela Pasquali
Metropoli mutevoli
6 Dicembre 2013
Città quale futuro
Tentativi, immagini e idee per una possibile città del futuro, a partire dall'uso dello spazio pubblico, in una mostra al Gug­ge­n­heim Museum di New York

Tentativi, immagini e idee per una possibile città del futuro, a partire dall'uso dello spazio pubblico, in una mostra al Gug­ge­n­heim Museum di New York.. Il manifesto, 6 dicembre 2013

Par­te­ci­pa­zione, riap­pro­pria­zione e rige­ne­ra­zione sono i ter­mini uti­liz­zati, anzi ormai infla­zio­nati e spesso frain­tesi, per rilan­ciare l’uso dello spa­zio pub­blico e per defi­nirne nuove fun­zioni. Ma per inte­ra­gire atti­va­mente e con­cre­ta­mente con il pae­sag­gio urbano si pos­sono appli­care molti altri con­cetti, metodi e stra­te­gie. Lo scopo è sem­pre quello di rico­no­scersi e tro­vare senso in un pae­sag­gio urbano com­pren­si­bile, frui­bile e leg­gi­bile, con carat­te­ri­sti­che este­ti­che ed eco­lo­gi­che di qua­lità, ma anche come luogo sociale, da uti­liz­zare con moda­lità sem­pre diverse.

Tutto que­sto viene rac­con­tato da una nuova grande espo­si­zione dal titolo Par­ti­ci­pa­tory City: 100 Urban Trends, aperta fino al 5 gen­naio 2014 al Gug­ge­n­heim Museum di New York. E cento, infatti, sono le ten­denze espo­ste, ordi­nate dalla a alla zeta, sele­zio­nate tra tre­cento idee e pro­getti diversi, che esplo­rano le pos­si­bili inte­ra­zioni tra urba­ni­smo, archi­tet­tura, arte, design, scienza, tec­no­lo­gia, edu­ca­zione e soste­ni­bi­lità. Un glos­sa­rio di idee vec­chie e nuove, già con­so­li­date o da spe­ri­men­tare, a pic­cola o grande scala, tem­po­ra­nee o per­ma­nenti, che tutte insieme rac­con­tano il fer­mento, la vita­lità e la forte volontà di spe­ri­men­tare e di cam­biare di migliaia di per­sone. Pro­po­ste da rea­liz­zare in un iso­lato, in un quar­tiere o da esten­dere a tutta la città, magari in col­la­bo­ra­zione con ammi­ni­stra­zioni e muni­ci­pa­lità, per­ché un design inno­va­tivo, un mag­giore coin­vol­gi­mento e respon­sa­bi­lità delle per­sone sono oggi neces­sari più che mai.

Tutto il mate­riale espo­sto è il frutto di tre intensi anni di lavoro svolto dal Bmw Gug­ge­n­heim Lab, un labo­ra­to­rio mobile che si è spo­stato in tre diversi con­ti­nenti. Par­tito da New York nel 2011 ha fatto tappa prima a Ber­lino nel 2012 e, infine, a Mum­bai nel 2013. Durante il suo per­corso ha coin­volto migliaia di per­sone che hanno potuto par­te­ci­pare gra­tui­ta­mente a incon­tri, work­shop, ricer­che, pas­seg­giate, inda­gini, pro­ie­zioni in un vero e pro­prio think tank urbano che pre­ve­deva anche la pos­si­bi­lità di inte­ra­zione on line.

Al Gug­ge­n­heim, le cento parole chiave sono pro­iet­tate sulle pareti, come instal­la­zioni lumi­nose digi­tali, e di fianco a cia­scuna sono espo­sti dise­gni, foto­gra­fie e video che le spie­gano e rac­con­tano. In un’area sepa­rata, altri video e imma­gini fanno rivi­vere l’atmosfera delle tre sedi del labo­ra­to­rio e delle città ospi­tanti, per rac­con­tare in modo più vivo il coin­vol­gi­mento delle per­sone e le atti­vità che si sono svolte. Durante il periodo dell’esposizione, un fitto pro­gramma di pro­ie­zioni di film e pre­sen­ta­zioni di libri e di pro­getti con­ti­nuerà a esplo­rare i temi trat­tati e a rac­con­tare altri pos­si­bili aspetti e inte­ra­zioni tra le per­sone e le città.

In mostra, sono espo­sti anche alcuni pro­to­tipi della Water Bench. Più che a una pan­china per esterni asso­mi­glia a un comodo divano tra­pun­tato. Pro­get­tata in un labo­ra­to­rio a Mum­bai, la strut­tura è costruita con pla­stica rici­clata e al suo interno nasconde una riserva d’acqua pio­vana da uti­liz­zare per l’irrigazione nei momenti di sic­cità. Una di que­ste sarà espo­sta a New York nel First Park, men­tre altre quat­tro sono già situate in un parco a Mumbai.

Ognuna delle cento ten­denze si rife­ri­sce a un par­ti­co­lare labo­ra­to­rio, evento o espe­rienza rea­liz­zato dal Lab in una delle città ospiti. È impos­si­bile elen­carle tutte, ma tra le più inte­res­santi c’è per esem­pio City as Orga­nism che si rife­ri­sce alla simi­li­tu­dine tra il sistema urbano e la vita com­plessa di un orga­ni­smo for­mato da mul­ti­ple e inter­re­late parti. Oppure Digi­tal Demo­cracy, che indica come la cor­retta imple­men­ta­zione delle infor­ma­zioni e delle comu­ni­ca­zioni tec­no­lo­gi­che potreb­bero con­tri­buire ad aumen­tare la par­te­ci­pa­zione dei cit­ta­dini ai pro­cessi urbani e a miglio­rare la tra­spa­renza dell’amministrazione pubblica.

Alcune ten­denze ten­gono conto di un aspetto più emo­tivo e quindi ver­tono sulle sen­sa­zioni, posi­tive o nega­tive, che pos­sono evo­care le città come Con­fort che, insieme a Happy City, tratta della per­ce­zione dello spa­zio intorno a noi e quindi del benes­sere fisico e psi­co­lo­gico. Al con­tra­rio, Urban fati­gue mette in evi­denza una con­di­zione comune a chiun­que abiti in città, sot­to­po­sto allo stress, all’ansia, all’affaticamento e a una con­ti­nua sovra­sti­mo­la­zione, diven­tando una delle silen­ziose epi­de­mie dell’era moderna, con con­se­guenze sulla salute fisica e men­tale delle persone.

Poi Emo­tio­nal Con­nec­tions e Emo­tio­nal Intel­li­gence, la prima sul con­ti­nuo aumento di ami­ci­zie vir­tuali e sul con­se­guente declino in numero, valore e durata delle reali inte­ra­zioni tra le per­sone, men­tre la seconda sulla capa­cità di iden­ti­fi­care, misu­rare e rico­no­scere le emo­zioni quando sono espresse dagli altri.

Con Micro Archi­tec­ture e Non_Iconic Archi­tec­ture si pro­pon­gono, invece, solu­zioni di archi­tet­tura o di design adatte a spazi urbani di dimen­sioni ridotte, ma che ciò­ no­no­stante sono in grado di cam­biare radi­cal­mente il com­por­ta­mento e la respon­sa­bi­lità dei cit­ta­dini, oltre a sfrut­tare e adat­tarsi ad aree non uti­liz­zate. Pro­prio come le solu­zioni adot­tate dal Bmw Gug­ge­n­heim Lab nel 2011 a New York, dove è stata mon­tata per dieci set­ti­mane una leg­gera strut­tura pop up pro­get­tata dall’Atelier Bow-Wow in uno spa­zio abban­do­nato tra due edi­fici del Lower East Side, poi tra­spor­tata fino a Ber­lino e modi­fi­cata per adat­tarsi a un altro contesto.

A Mum­bai invece l’Atelier ha col­la­bo­rato con l’architetto Samir D’Monte per creare una nuova grande costru­zione di bambù. Una rea­zione all’architettura ico­nica e alle archi­star del XX secolo, legate al con­su­mi­smo, alla glo­ba­liz­za­zione, allo sta­tus spe­ciale di que­gli arte­fici di strut­ture spet­ta­co­lari. All’opposto que­ste due ten­denze vogliono difen­dere l’importanza della sem­pli­cità e della fun­zio­na­lità dell’architettura e dare la prio­rità alla scala umana piut­to­sto che a quella scul­to­rea delle grandi opere.

Local Food, Food Distri­bu­tion e Com­mu­nity Gar­dens sono tutte legate alla pro­du­zione di cibo locale, alla domanda di frutta e ortaggi fre­schi e alla sicu­rezza ali­men­tare. Adot­tata negli Stati Uniti nel 2008, la Food, Con­ser­va­tion, and Energy Act sta­bi­li­sce che il cibo non deve viag­giare oltre le 400 miglia dalla fonte o deve essere ven­duto nello stesso stato in cui è stato pro­dotto. I mer­cati locali stanno rapi­da­mente cre­scendo e svi­lup­pando gra­zie alla sem­pre più nume­rosa domanda di cibo bio­lo­gico, inol­tre si evi­den­zia come con­su­ma­tori desi­de­rano sup­por­tare l’economia locale e limi­tare l’impatto ambien­tale. Così oltre ai com­mu­nity gar­dens, sono nate nume­rose fat­to­rie urbane che ridu­cono ancora di più la distanza tra con­su­ma­tori e pro­dut­tori. Urban Fora­ging , invece, riguarda la ricerca, la map­pa­tura, l’identificazione di tutto ciò che cre­sce in città, senza o con minimi inter­venti da parte dell’uomo. E quindi la pra­tica, ormai dif­fusa, di rac­co­gliere la frutta ma anche le erba­cee e i fun­ghi che cre­scono in città e che sono a dispo­si­zione di tutti. Con una visione più ampia, que­sta voce si rife­ri­sce al riuso e alla rac­colta di tutto ciò che si trova a dispo­si­zione per le strade.

Disney­fi­ca­tion, parola coniata nel 1996 da Sha­ron Zukin, indica invece la tra­sfor­ma­zione di un luogo secondo la logica dei par­chi a tema. Men­tre con Gen­tri­fi­ca­tion ci si sof­ferma sulle ori­gini e le cause di que­sto feno­meno glo­bale, asso­ciato quasi sem­pre all’aumento degli affitti e a un dra­stico cam­bia­mento sociale ed eco­no­mico di interi quar­tieri. E così Urban Beauty e Urban Ugli­ness si inter­ro­gano sul valore este­tico di una città e sulla mol­te­pli­cità di pro­spet­tive e punti di vista.

Altri trend ancora, elo­quenti già dalla parola che li desi­gna, sono: Affor­da­ble Hou­sing, Bike Poli­tics, Bottom-Up Urban Enga­ge­ment, Col­lec­tive Memory, Evic­tion, Infra­struc­ture of Waste, Public-Private Ten­sion, Trust, Urban Spon­ta­neity… Tutte insieme, le cento ten­denze rac­con­tano di una capa­cità di adat­ta­mento e di una fles­si­bi­lità comune alle migliaia di par­te­ci­panti di tutto il mondo al Lab e que­sto è il vero grande trend sul quale è neces­sa­rio cer­care di model­lare le nostre città.

Non fisse, sta­ti­che, bloc­cate dalle nor­ma­tive e dalla pia­ni­fi­ca­zione a tavo­lino, ma dina­mi­che e spe­ri­men­tali, in un work-in-progress con­ti­nuo, a mag­gior ragione in un momento come que­sto attuale, in cui sono visi­bili ovun­que i segni di degrado e inef­fi­cienza, dove ormai è assente la manu­ten­zione ordi­na­ria e straor­di­na­ria di strade, par­chi, piazze, in gene­rale di tutti gli spazi pubblici.

Quelle rac­con­tate dall’esposizione del Gug­ge­n­heim sono ten­denze e tema­ti­che che pro­vano come le città non siano sola­mente un con­cen­trato di palazzi, di strade e infra­strut­ture, ma soprat­tutto un insieme di per­sone che sono (o dovrebbe essere) al cen­tro dello spa­zio e che, inte­ra­gendo tra loro, pos­sono con­tri­buire a ren­derlo più vivibile.

Sarebbe bello che un pro­getto di così ampio respiro potesse pas­sare anche per il nostro paese che ha sicu­ra­mente biso­gno di sti­moli per avviare un nuovo modo di rap­por­tarsi al pae­sag­gio urbano. Un modo carat­te­riz­zato da un forte impe­gno comu­ni­ta­rio, che non sem­bra essere ancora parte del nostro patri­mo­nio culturale.

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