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Gaetano Azzariti
Democrazia impotente
28 Dicembre 2013
Democrazia
«Dovremmo tutti pre­oc­cu­parci dello stato in cui versa il nostro Par­la­mento, da esso dipen­dono le sorti della nostra demo­cra­zia. Dinanzi a tanta con­fu­sione l’accusa delle disfun­zioni non basta. Sarebbe auspi­ca­bile che qual­cuno si ergesse a difen­sore dell’istituzione par­la­men­tare e richia­masse anche gli altri poteri al rispetto della cen­tra­lità dell’organo della rap­pre­sen­tanza politica». Il manifesto, 28 dicembre 2013

«Il manifesto, 28 dicembre 2013

Oggi il Par­la­mento in Ita­lia non conta più nulla e non rie­sce a far nulla, con­ti­nua a pren­dere schiaffi senza che nes­suno se ne lamenti, nep­pure i diretti inte­res­sati. Schiac­ciate dal peso del soste­gno a un governo privo di un coe­rente indi­rizzo poli­tico, tenute in vita arti­fi­cial­mente, in attesa di una pre­si­denza di turno euro­pea, di impro­ba­bili riforme isti­tu­zio­nali e dello sta­bi­liz­zarsi del qua­dro poli­tico ter­re­mo­tato dopo le ultime ele­zioni, la per­dita di auto­no­mia delle camere è totale. Lo ave­vamo già segna­lato su que­ste pagine, ma vale la pena ricor­darlo: da che è ini­ziata que­sta legi­sla­tura le camere non sono riu­scite a eser­ci­tare nes­suno dei loro prin­ci­piali com­piti isti­tu­zio­nali.

Quello costi­tu­zio­nal­mente più deli­cato di ele­zione del capo dello stato s’è con­cluso con un incre­di­bile e diso­no­re­vole nulla di fatto. La scelta di con­fer­mare il vec­chio pre­si­dente, a seguito dell’accertata inca­pa­cità di eleg­gerne uno nuovo (Marini, Rodotà o Prodi che fosse), ha costi­tuito un’esplicita dichia­ra­zione di impo­tenza. Con­di­zione di ina­de­gua­tezza resa ancora più evi­dente dal discorso di re-insediamento di Napo­li­tano dinanzi alle Camere riu­nite, il quale non ha man­cato di richia­mare le debo­lezze dell’attuale sistema politico-parlamentare, men­tre i par­la­men­tari applau­di­vano.
Per non par­lare dell’incapacità mani­fe­sta di for­mare un governo dalle chiare con­no­ta­zioni poli­ti­che e di indi­vi­duare una mag­gio­ranza defi­nita. Fosse stata anche la neces­sità– o più pro­ba­bil­mente le sol­le­ci­ta­zioni pre­si­den­ziali da un lato e la paura di una fine trau­ma­tica della legi­sla­tura dall’altro — a indurre il Par­la­mento a con­fe­rire la fidu­cia prima al governo Letta-Berlusconi, poi a quello Letta-Alfano, ora a quello Letta-Renzi, certo non può negarsi che gli equi­li­bri all’interno del Par­la­mento e con il governo sono stati stra­volti. La stessa atti­vità all’interno delle camere non poteva che risentirne.
La fisio­lo­gica dia­let­tica tra mag­gio­ranza e oppo­si­zioni è stata scon­volta, sosti­tuita dalla con­cen­tra­zione nelle mani dei par­titi delle «lar­ghe intese» dei diversi ruoli politico-parlamentari: tutti (o quasi) a soste­nere il Governo, ma fino ad un certo punto, dovendo tutti riven­di­care la pro­pria diver­sità. Dun­que, svol­gendo tanto il ruolo di mag­gio­ranza quanto quello di oppo­si­zione.
In que­sto clima con­fuso le Camere non pos­sono che ope­rare senza diret­tive sicure, in modo ondi­vago. Non tanto l’inadeguatezza dei rego­la­menti par­la­men­tari, quanto l’impossibilità di una loro appli­ca­zione coe­rente allo spi­rito che deve ani­mare un’efficace atti­vità dell’organo legi­sla­tivo rende sem­pre più evi­dente la para­lisi del Par­la­mento. Non si può cer­ta­mente impu­tare alle regole par­la­men­tari, ad esem­pio, l’inettitudine dimo­strata nei con­fronti della riforma della legge elet­to­rale. È lo stato con­fu­sio­nale in cui versa la poli­tica oggi in Ita­lia che deve essere messa sotto accusa.

È anche vero che non è solo il Par­la­mento a ver­sare in uno stato coma­toso. Anzi esso è un riflesso della con­di­zione in cui versa la poli­tica. Con­cen­trata sui destini per­so­nali e sul ricam­bio gene­ra­zio­nale, attra­ver­sata da lotte fra­tri­cide per il pre­do­mi­nio nei feudi e nei ter­ri­tori tra­di­zio­nali della poli­tica poli­ti­cante, dispo­sta a sca­ri­care sugli altri (sog­getti o isti­tu­zioni che siano) le colpe del vuoto di una poli­tica nazio­nale.

Troppo facile diventa pren­der­sela con l’organo più debole in que­sto momento in Ita­lia. Il Par­la­mento, appunto. Così, il Governo sca­rica le Camere, sot­traendo a esse la deci­sione sul finan­zia­mento dei par­titi: l’emanazione di un decreto legge in mate­ria è dei giorni scorsi. Ora, il Pre­si­dente della Repub­blica bac­chetta il Par­la­mento per avere inse­rito norme ete­ro­ge­nee in sede di con­ver­sione di un decreto legge. Una prassi assai risa­lente e spesso uti­liz­zata, cio­non­di­meno cer­ta­mente da con­dan­nare. Ma siamo sicuri che il Par­la­mento sia l’unico col­pe­vole? Anche l’indicazione di una modi­fica dei rego­la­menti par­la­men­tari appare fran­ca­mente ridut­tiva rispetto alla gra­vità della crisi in atto, che coin­volge il sistema poli­tico nel suo com­plesso e i rap­porti tra i diversi poteri.
Come può, ad esem­pio, non con­si­de­rarsi il ruolo deci­sivo che ha eser­ci­tato il Governo in Par­la­mento, il quale ha con­tri­buito in modo deter­mi­nante a far appro­vare emen­da­menti ete­ro­ge­nei nel corso dell’iter di con­ver­sione del decreto, appo­nendo per­sino la fidu­cia all’ultima vota­zione; per poi fare una rapida mar­cia indie­tro, lasciando solo il Par­la­mento, unico desti­na­ta­rio delle repri­mende del capo dello stato.

Dovremmo tutti pre­oc­cu­parci dello stato in cui versa il nostro Par­la­mento, da esso dipen­dono le sorti della nostra demo­cra­zia. Dinanzi a tanta con­fu­sione l’accusa delle disfun­zioni non basta. Sarebbe auspi­ca­bile che qual­cuno si ergesse a difen­sore dell’istituzione par­la­men­tare e richia­masse anche gli altri poteri al rispetto della cen­tra­lità dell’organo della rap­pre­sen­tanza politica

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