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Giorgio Todde
Su Stangioni, la palude di Cagliari.
26 Novembre 2013
Altre città
Anziché una “opinione”, da Giorgio Todde autorevole collaboratore una lezione di urbanistica, una denuncia politica, un appello: chi lo raccoglie con una sua adesione nei “Commenti”, contribuisce alla buona politica contro la cattiva, alla città delle persone contro quella degli affari

Anziché una “opinione”, da Giorgio Todde autorevole collaboratore una lezione di urbanistica, una denuncia politica, un appello: chi lo raccoglie con una sua adesione nei “Commenti”, contribuisce alla buona politica contro la cattiva, alla città delle persone contro quella degli affari

Su Stangioni significa, in sardo, lo stagno, la palude grande.

Chi, a Cagliari, si oppone al nuovo quartiere sovietico detto Su Stangioni che sorgerebbe su una piana all’estremità del territorio cagliaritano, accanto a un vecchio inceneritore che ha sparso veleno per decine d’anni, un quartiere collegato solo da strade a scorrimento veloce, un ghetto più vicino all’hinterland che alla città, chi si oppone sarebbe radical chic. Mentre dei problemi spacciati per veri se ne occupano con le maniche rimboccate quelli che dicono di “pensare concretamente alla città”.

Tra gli obiettivi degli uomini “del fare” rientrerebbe l’impresa di “riportare a Cagliari i cagliaritani emigrati nell’hinterland perché il centro era troppo caro”. E di trasferirli a Su Stangioni, ultimo lembo extra moenia del territorio di Cagliari. Dall’hinterland all’hinterland, insomma.

Così gli abitanti continuerebbero a entrare in città solo per lavorare e a uscirne per andare a dormire. Un obiettivo speculare per indegnità a quello dei centri storici alla spina, vivi solo di notte, abitati da pochi spericolati residenti con il sonnifero sul comodino.

Cagliari non è un’eccezione nel Paese.

Cagliari – da 220mila abitanti nel 1981 a 150.000 nel 2012 - ha da tempo praticamente esaurito il proprio territorio.E l’hinterland, dove oggi si trovano i 70mila abitanti che mancano alla città, è diventato il luogo nel quale la speculazione edilizia si è scatenata con più violenza. E hanno pianificato: il vuoto al centro e il pieno nell’hinterland. Basta un giretto lungo le squallide statali 554 e 130 per comprendere e rabbrividire.

Però quest’area disastrata è stata insignita del titolo di area vasta con lo scopo, nobile solo in origine, di fornirle un unico governo. Da più di dieci anni si chiama area vasta di Cagliari l’area che comprende il capoluogo e 15 comuni intorno. Una popolazione di circa 420.000 abitanti che decrescerebbe se non ci fosse una modesta immigrazione extracomunitaria.

Pochi e costretti a una pericolosa dispersione urbana. Nell’hinterland la densità abitativa è bassa, meno di 600 abitanti per chilometro quadro, dissolti in uno spazio spropositato. Nell'area vasta lavorano circa 140mila persone. Quasi 90mila a Cagliari. L’80% di chi entra a Cagliari ogni mattina sceglie l’auto.

L’area vasta di Cagliari è, sotto ogni aspetto, un compiuto esempio di insostenibilità economica e sociale. Niente di nuovo. Spersonalizzazione, cancellazione dei caratteri e rapporti sociali che definivano le diverse comunità, la sindrome da spaesamento ormai epidemica. E poi, un auto ogni due abitanti, inquinamento, tempi di spostamento insopportabili, incidenti. Tutto questo considerato non una patologia, ma una tassa da pagare a una finta, grottesca modernità.

L'agglomerato urbano comprende in realtà anche una decina di altri comuni oggi tenuti fuori dall’area vasta, ma afflitti dalle stesse malattie. Con gli abitanti di questi comuni si raggiungono i 490mila abitanti su un territorio di oltre 1.800 chilometri quadrati. La popolazione della provincia, che non coincide con l’area vasta, è di 563mila abitanti. Un rompicapo amministrativo.

E la scuola? In questa popolazione sono presenti, nel 2001, diecimila analfabeti totali e più di cinquantamila dichiarano di saper leggere e scrivere un testo semplice ma di non aver conseguito nessun titolo di studio. Dati desolanti e in peggioramento.

Insomma, l’area vasta sarda ripete le percentuali abitative di aree che nelle facoltà di architettura sono di solito indicate come nocivo esempio di sprawl. Curiosamente Atlanta ed Elmas, il paragone suscita un sorriso, spargono i loro abitanti nel territorio più o meno con le stesse percentuali.

Qua come altrove è la politica, sospinta dagli affari, che ha consentito la completa dissociazione tra fabbisogni reali e il costruito in eterna, tragica moltiplicazione. Senza un disegno urbanistico e senza una filosofia dell’abitare.

Occorreva un governo e una visione sovra-comunale. Ma nessun sindaco, nessuna municipalità ha accettato, se non a parole, un’autorità condivisa.

Il Piano Strategico Intercomunale c’è, ma è solo carta, senza contare che quando un progetto è definito “strategico” allora siamo di certo in pericolo. Le espressioni “risiedere, muoversi agevolmente, godere dell’ambiente e di fruire dei servizi” dovevano essere “strategici” però sono rimasti parole e le vere azioni “strategiche” sono consistite nel ricoprire di cemento l’area vasta.

Ogni Comune ha deciso il suo Puc oppure ha deciso che è meglio non possederne uno. Ma in tutti i casi le Giunte comunali sono rimaste i soliti centri d’affari dedicati all’edilizia che “regge il mondo”. E hanno vinto i localismi.

Anche la definizione di Area Metropolitana è rimasta volutamente vuota. Una legge regionale annunciò nel ’97 il riassetto delle province sarde e che il territorio di Cagliari si sarebbe potuto riorganizzare facendo coincidere l’assetto provinciale con l'Area metropolitana dotata di un’Autorità che la governasse. Tutti sanno come è andata a finire e la commedia muta in tragedia.

Intanto nel Piano attuativo regionale per la spesa dei fondi destinati alle aree sottoutilizzate 2007/13 – si trattava di 2278 milioni di euro - le parole “trasporto pubblico, coesione sociale, ambiente” sono state sostituite da parole molto più remunerative come“strade, svincoli, assi di scorrimento”. Soldi per fare strade, insomma. E infatti oltre il 90% delle risorse riguarda collegamenti stradali. Pochissimo per aeroporti, porti e ferrovie. Hanno vinto gli affari e non c’è speranza di uscire da una perniciosa concezione della nostra area urbana ridotta a territorio di speculazione.

Intanto il nuovo quartiere de Su Stangioni resta un progetto che respira di nuovo perché qualcuno, anche nel Pd cagliaritano, tenta di rianimarlo.

Ancora case disperse e ancora la distorsione e l’abuso di parole come “sostenibile, ecologico, verde” nel tentativo di contrabbandare come housing sociale l’ordinario cemento, mentre la città, svuotata, quindicimila appartamenti vuoti, si sfalda e si disperde nel solito orrendo nulla urbano.

Rudimenti di urbanistica.

Il consumo irrazionale di suolo, quello distaccato dal fabbisogno reale, deve cessare anche a Cagliari, la bruttezza delle campagne divorate dal “cemento a vanvera” deve cessare, la vita di relazione deve essere facile, il trasporto pubblico deve vincere. Non si vive vicino a un territorio inquinato per decenni dall’incenerimento dei rifiuti. E non si vive in un luogo brutto.

Su Stangioni è un luogo che evoca acque ferme, paludi malsane. Nessuna manna, solo polveri avvelenate. Si deve definire il livello di inquinamento di quest’area e solo dopo favorire la ricostituzione di un nuovo paesaggio campestre e, magari, agricolo. Non esiste altra via.

E’ necessario stabilire un punto fermo dove finisce la città e dove inizia la campagna. Esattamente come accade nei Paesi dove l’urbanizzazione si è data regole certe. E quel punto, quel confine esiste già. Molto lontano da Su Stangioni e molto prossimo alla città attuale.

Ai “sostenitori” del progetto è consigliabile un volo sopra i Paesi europei dove amano davvero i loro suoli per vedere come le città abbiano un confine netto e come da quel punto inizi l’agro. Noi vogliamo la città compatta dove per il bene comune si vive, si va in una scuola vicina, in un teatro vicino, in un cinema vicino, in ambulatori e ospedali vicini, in botteghe vicine, dove si cresce, si matura e si invecchia in compagnia di altri esseri umani e dove una comunità conserva le sue caratteristiche e peculiarità proprio perché si vive vicini.

Nuove micro città sono come la gramigna: consumano i luoghi, sprecano risorse comuni e producono malessere.

La politica, la parte buona che sopravvive, cerca oggi a Cagliari di evitare il cemento a Su Stangioni. Ma una parte del Pd locale pensa e agisce contro ogni abbiccì urbanistico. L’interesse di pochi non deve determinare la crescita della città, noi non dobbiamo pagare urbanizzazioni folli, insediamenti insensati, dannosi e antieconomici.

Per questo siamo sicuri che il pensiero raccolto intorno a Eddyburg è profondamente contrario a un progetto brutto, vecchio, scriteriato, svantaggioso e nocivo come quello di Su Stangioni. E che sarà accanto a chi si oppone a questo inaccettabile progetto.

Riferimenti

Se volete sapere di più sulla lottizzazione di Su Stangiuni, che non piace al sindaco ma piace a parte consistente della sua maggioranza scaricate e leggete il dossier del gruppo di lavoro sul consumo di suolo del Circolo Copernico
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