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Stefano Lanza
Confermato ancora una volta: i “diritti edificatori sono una balla, Le "compensazioni urbanistiche" un regalo alla proprietà
30 Settembre 2013
Legislazione nazionale
Una nota di Paolo Berdini e Stefano Lanza illustra il contenuto della sentenza del Consiglio di Stato che conferma quanto già i lettori di

eddyburg sapevano da un pezzo, ma che i cattivi urbanisti e gli accecati amministratori continuano a praticare.

Il Consiglio di Stato con la sentenza n. 119 del gennaio 2012 (vedi allegato) ha demolito il castello di fumo su cui era stata costruita “la nuova urbanistica riformista romana”. Quella, per intenderci, che a detta dei suoi più accaniti sostenitori doveva diventare il modello per l’intero paese. La sentenza avrà conseguenze incalcolabili sull’assetto della città perché afferma con grande nettezza che nella pianificazione urbana non sono possibili scorciatoie e valutazioni arbitrarie e discrezionali tra proprietà fondiarie che presentano le medesime caratteristiche. E avrà conseguenza sull’urbanistica italiana perche in questi anni sono stati molti i comuni che hanno seguito Roma sulla irresponsabile strada dei “diritti edificatori” e delle “compensazioni urbanistiche”.

1. La pianificazione urbanistica è un diritto delle pubbliche amministrazioni

In primo luogo la sentenza rigetta ancora una volta la censura del proponente (una società immobiliare proprietaria di un vasto compendio immobiliare destinato ad espansione urbanistica nel quadrante sud est di Roma) tesa a mettere in dubbio il diritto di ogni amministrazione comunale a delineare il futuro delle città. In tal senso la sentenza ribadisce ancora una volta –se ce ne fosse ancora bisogno - l’inesistenza di cosiddetti diritti edificatori acquisiti così cari alla sedicente urbanistica riformista romana. Afferma infatti la sentenza che: «Con ogni evidenza, una siffatta situazione non è rinvenibile in capo all’odierna appellante, non potendo certo un’aspettativa giuridicamente tutelabile discendere dalla pregressa destinazione del suolo (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 29 dicembre 2009, nr. 9006), e nemmeno dalla mera circostanza che nella specie la società istante avesse presentato una proposta di lottizzazione, mai esaminata dal Comune (e ciò in disparte quanto appresso si dirà con riguardo al diverso “trattamento” riservato ad altra proposta formulata in relazione a un suolo limitrofo). Per queste ragioni, non possono essere accolte le doglianze (pagg. 48-55 e 61-69 dell’appello) con le quali si tende a sollecitare un non consentito sindacato nel merito delle scelte pianificatorie assunte dall’Amministrazioni, ancorché penalizzanti dei suoli della società esponente, attraverso l’evocazione di insussistenti e improbabili carenze motivazionali».

Anche i peggiori sordi dovrebbero aver capito che non esistono diritti edificatori e che le amministrazioni comunali procedenti hanno il pieno diritto di “comprimere” le aspettative edificatorie dei proprietari dei terreni.

2. L’ invenzione della compensazione urbanistica

La sentenza del Consiglio di Stato demolisce poi il principale strumento dell’urbanistica romana, e cioè quella della più assoluta discrezionalità utilizzata nella cancellazione o nella compensazione in altri luoghi delle volumetrie che si intendeva sulla base di motivazioni paesaggistiche ed ambientali, cancellare. A questo punto dobbiamo ripercorre brevemente la vicenda pianificatoria romana in modo da comprendere appieno la sconsiderata scelta della compensazione urbanistica.

Quando l’amministrazione guidata da Francesco Rutelli prese in mano l’urbanistica romana, erano in itinere la Variante per la conferma dei vincoli scaduti a verde e servizi e la Variante di salvaguardia entrambe ottenute con una forte iniziativa del mondo ambientalista e dell’urbanistica democratica. La seconda, in particolare, applicava in pieno il principio confermato dalla sentenza che stiamo commentando: essa infatti cancellava milioni di metri cubi di espansioni urbanistiche sulla base di “oggettive esigenze” ambientali.

Inopinatamente il comune di Roma, invece di sollecitare la regione Lazio ad approvare quella variante di salvaguardia e chiudere così il processo di tutela paesaggistica, avviò la redazione del cosiddetto “Piano delle certezze” che pose a proprio fondamento che la cancellazione delle volumetrie previste dal piano previgente non potessero essere effettuate se non attraverso una sorta di “indennizzo”, e cioè la compensazione urbanistica di quelle volumetrie in altre aree urbane (questa fase dell’urbanistica romana è ricostruito in dettaglio nella nuova edizione di Roma moderna di Italo Insolera aggiornata con la collaborazione di Paolo Berdini. Einaudi 2011).

Il caso di maggiore evidenza mediatica è stato quello relativo al comprensorio di Tor Marancia, comprensorio che la Soprintendenza archeologica vincolò all’inedificabilità per la sua adiacenza al Parco dell’Appia Antica e che proprio sulla base del vincolo imposto non doveva in alcun modo essere “compensata”. Nel caso di Tormarancia, la compensazione urbanistica ha dimostrato di essere un micidiale fattore di moltiplicazione delle volumetrie da realizzare: è noto infatti che dagli iniziali 1,8 milioni di metri cubi si è passati ad un totale di 5,2 milioni, con un aumento del 200% circa.

3. La sentenza del Consiglio di Stato

La cultura urbanistica che si riconosce in Eddyburg affermò immediatamente la pericolosità di quell’atto che oltre a limitare la potestà pianificatoria comunale poneva in esplicita contraddizione due proprietà limitrofe con identiche caratteristiche paesaggistiche ed ambientali che venivano trattate in modo differente poiché alla prima (inserita nella variante delle certezze) si garantiva la compensazione delle volumetrie previgenti, mente alla seconda (esclusa dalla variante delle certezze) venivano cancellate le volumetrie previgenti.

Torniamo come si vede ai principi basilari dell’urbanistica, a quelli cioè di aver il dovere di trattare in modo identico le proprietà caratterizzate da identiche caratteristiche: quello che l’urbanistica romana ha accuratamente evitato di fare facendo invece della discrezionalità il principale strumento. Atteggiamento solennemente censurato dalla sentenza 119 laddove si afferma che «lo stesso Consiglio di Stato, preso atto che il Comune di Roma ha inteso introdurre con propria scelta di insindacabile discrezionalità urbanistica l’istituto della compensazione, ha espressamente sancito il principio della necessaria applicazione dell’istituto compensativo per tutte le aree che hanno subito la medesima privazione della capacità edificatoria indipendentemente dal momento e dall’atto con cui questa è stata realizzata».

Continua ancora il Consiglio di Stato: «In altri termini, altra è la situazione di chi, ferma restando la capacità edificatoria pregressa del proprio suolo, intenda acquisire ulteriore volumetria edificabile (ed a cui, come detto, si riferiscono le previsioni perequative de quibus); ben diversa è invece la situazione di chi abbia subito sic et simpliciter una decurtazione rispetto al passato dell’edificabilità attribuita al proprio suolo: per queste ultime fattispecie l’Amministrazione ha introdotto l’istituto della compensazione urbanistica il quale, per le ragioni sopra esposte, deve trovare applicazione a tutte le aree soggette a tale deminutio di edificabilità, indipendentemente dal momento e dall’atto con cui questa sia stata realizzata. Ne discende anche che del tutto irrilevante è ogni approfondimento in ordine alla piena identità o meno fra la situazione dell’odierna appellante e quella di altri soggetti, ai quali risulta invece spontaneamente riconosciuta dal Comune la compensazione, dovendo ritenersi acclarata in ogni caso l’applicabilità dell’istituto anche alla prima».

La sentenza ha due tipi di conseguenze, una specifica immediata ed altre di più lunghe e profonde implicazioni. Quella immediata riguarda la Società ricorrente e la necessità di reperire le aree per la realizzazione delle volumetrie a lei attribuite, con il danno ulteriore che emerge dalla lettura della sentenza, che tale cubatura in conseguenza della approssimazione con cui la amministrazione si è mossa, è aggiuntiva rispetto alle previsioni edificatorie: stiamo parlando di due milioni di metri cubi da scaricare sul territorio con ulteriore enorme del consumo di suolo. Se le conseguenze non fossero drammatiche per la capitale, verrebbe da sottolineare che i teorici della “nuova urbanistica romana” escono dalla ventennale vicenda con le ossa rotte, facendo la figura degli apprendisti stregoni inconsapevoli delle forze che hanno scatenato, sopravvalutando le loro capacità di controllarle.

Quelle più generali sono da un lato pesantemente pratiche perché la decisione del Consiglio di Stato accoppiata alla decisione di «…introdurre con propria scelta di insindacabile discrezionalità urbanistica l’istituto della compensazione», significa che Roma rischia di dover compensare, ricollocare o risarcire tutte le cubature già previste nella pianificazione a qualsiasi titolo ed in qualunque momento soppresse, con quali conseguenze sull’esausto territorio e sulle non meno esauste casse comunali è facile immaginare. Sul piano generale, dunque, si riapre il dibattito sull’urbanistica degli ultimi anni, in quanto alcune posizioni ed elaborazioni teoriche disciplinari ne escono distrutte, aprendo la porta ad una discussione sgombra di alcuni equivoci.
Da oltre tre mesi l’urbanistica romana ha un nuovo assessore Giovanni Caudo, esponente di punta della comunità di eddyburg. Il tentativo che sta mettendo in atto per riportare trasparenza nella gestione urbanistica si dovrà necessariamente far carico della pesante eredità lasciata dai disinvolti cantori della cancellazione dell’urbanistica pubblica.

4. La nuova amministrazione di Ignazio Marino e il caso della compensazione di Casal Giudeo

Ma gli ostacoli all’apertura di una nuova fase dell’urbanistica romana hanno incontrato proprio in questi giorni un’ulteriore ostacolo rappresentato dalla deriva della cultura politica del centro sinistra capitolino. Il 17 settembre scorso, infatti, il voto compatto del Pd e del Pdl e l’unico voto contrario del consigliere 5stelle Daniele Frongia (Sel era inspiegabilmente assente) ha dato il via libera ad una contestatissima deliberazione che autorizza la “compensazione urbanistica” nel comprensorio di Casal Giudeo per una cubatura totale di 1,3 milioni di metri cubi.

L’autorizzazione all’ennesima colata di cemento nella campagna romana era stato uno degli ultimi atti della precedente amministrazione Alemanno che era riuscito a farla passare proprio negli ultimi giorni di consiliatura.

La nuova amministrazione guidata da Ignazio Marino aveva impostato la campagna elettorale promettendo una netta discontinuità verso la precedente amministrazione. E’ dunque grave che alla prima concreta occasione il “partito del cemento” abbia trovato un accordo trasversale tanto disinvolto: va infatti sottolineato che la deliberazione di Casal Giudeo era andata alla discussione delle commissioni consiliari con il parere contrario del Segretario generale del comune di Roma e dello stesso assessore Caudo. La politica si è dimostrata sorda ai richiami alla legittimità degli atti e intende evidentemente perpetuare la cultura dell’urbanistica derogatoria, dei diritti edificatori e della compensazione urbanistica. Quell’urbanistica che la sentenza 119 del Consiglio di Stato ha giudicato fallimentare sotto ogni punto di vista.

Riferimenti

Vedi su eddyburg gli scritti di Edoardo Salzano e di Vincenzo Cerulli Irelli,

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