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Renato De Fusco
Riaprire un tratto di Piazza Plebiscito
31 Agosto 2013
Stupidario
L’autorevole storico dell’arte si improvvisa urbanista, ma frodando: fa credere che parla del trasporto pubblico, invece in testa ha solo l’automobile privata: leggere per credere. Lo diceva Cederna che è un vizio degli intellettuali italiani.

L’autorevole storico dell’arte si improvvisa urbanista, ma frodando: fa credere che parla del trasporto pubblico, invece in testa ha solo l’automobile privata: leggere per credere. Lo diceva Cederna che è un vizio degli intellettuali italiani.

La Repubblica, ed. Napoli, 31 agosto 2013

QUALE che sia o sarà l’amministrazione comunale, ritengo di notevole interesse per la città revocare l’ordinanza che vieta il passaggio automobilistico davanti alla Reggia, in piazza Plebiscito. Se, in occasione dell’incontro del G7, fu opportuno liberare la piazza davanti alla Basilica di San Francesco di Paola, fu invece un grave errore chiudere al traffico dei mezzi privati e persino di quelli pubblici il tratto di strada tangente il Palazzo Reale. Questo divieto equivale all’aver chiuso la principale arteria del corpo umano, quella che porta il sangue dal cuore a
tutti gli altri organi.

Infatti, prima della chiusura, chi proveniva da occidente lungo la strada del mare, saliva per il Gigante e subito s’immetteva in piazza Trieste e Trento, nodo centrale del quartiere Chiaia San Ferdinando. Nel senso opposto, chi muoveva da questa piazza, grazie al tratto in parola, raggiungeva la strada del mare e da questa i versanti est ed ovest della città. La similitudine con un’arteria occlusa è confermata, sul piano del traffico, dall’aver reso l’area di Santa Lucia un organo non irrorato dal sangue e quindi commercialmente morto; ma ancora più grave è il disagio che non tocca solo i luciani, ma tutti gli abitanti provenienti dalla parte occidentale di Napoli.

Questi, per passare da un capo all’altro del fusiforme organismo urbano - in pratica per superare l’altura di Pizzofalcone - sono costretti a salire le rampe Brancaccio, attraversare i vicoli, la piazza Santa Maria degli Angeli e lungo il San Carlo guadagnare finalmente il centro di piazza Municipio. Per quanto tortuoso questo cammino è più breve degli altri due, quello per la litoranea e l’altro per la Galleria della Vittoria che giungono entrambi a strozzarsi sulla via Acton. Qui, il percorso non è ancora finito: bisogna incamminarsi per la Marina, raggiungere piazza della Borsa e poi tornare indietro per entrare nell’area che va da Toledo a piazza Dante, da via Medina al Mercato, ossia la più ricca di negozi e uffici.

I moccoli non si contano rivolti a Giuseppe Bonaparte che volle la modifica del Largo di Palazzo, agli architetti Laperuta, che disegnò quel colonnato ad emiciclo mai utilizzato per negozi e botteghe, e Pietro Bianchi, che non riuscì a mascherare col suo Pantheon il «presepe » del Pallonetto ed ai vari re e ammini-stratori che si affacciarono sulla neoclassica piazza, i quali almeno consentirono il passaggio di carri e carrozze.

Con tutto il rispetto per l’estetica, non si può costringere mezza cittadinanza a un disagio da affrontare due volte al giorno, per la velleità di rendere la piazza Plebiscito l’emblema di Napoli. Ma posto che sia tale e sorvolando sul fatto che una destinazione d’uso non è stata ancora trovata, la stessa estetica si perde con il divieto suddetto che nuoce alla visibilità della piazza.

Se si aprisse al traffico la strada parallela alla Reggia, non ci sarebbero più i turisti raggruppati solo a un angolo di quest’ultima e quindi in grado di vedere il famoso «scenario» unicamente di scorcio, bensì, avvalendosi di un mezzo di trasporto, in condizione di ammirarlo soprattutto frontalmente, così come si addice a un impianto urbanistico simmetrico. Peraltro, al pari di molte altre piazze del mondo, l’area centrale è sempre circondata o affiancata da strade che ne consentono la migliore visibilità.

Auspico che queste mie osservazioni tecniche possano indurre a un ripensamento che non comporta la costruzione o demolizione di qualcosa, bensì la modifica di una semplice ordinanza comunale. Alcuni politici, quando perdono le elezioni, continuano a dire che è «necessario fare un’ampia riflessione». Perché questa volta non farla prima?

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