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Ilvo Diamanti
La scomparsa del futuro
19 Agosto 2013
Articoli del 2013
Un’analisi disperata d’un disumano appiattimento sul presente, raccontata con lo sguardo raso-terra sulla politica italiana d’oggi.

Un’analisi disperata d’un disumano appiattimento sul presente, raccontata con lo sguardo raso-terra sulla politica italiana d’oggi.

La Repubblica, 19 agosto 2013

Ispirava l’azione e, anzitutto, i messaggi della politica. I leader e i partiti erano tutti impegnati a scrivere programmi, progetti. A fare promesse. Perché anche le promesse riguardano il futuro. La politica della Prima Repubblica: era orientata da ideologie. Grandi narrazioni della storia, proiettate nel futuro. Che sarebbe stato migliore del passato e del presente.

La politica della Seconda Repubblica ha, invece, affidato la produzione di immagini del domani agli esperti di marketing. Ha ricondotto le identità e i progetti alla personalità del leader. Così il tempo ha perduto significato. Come i progetti.

La figura di Berlusconi, modello e artefice di quest’epoca, ha riassunto in sé ogni promessa. Facendola apparire attuale e attuabile, se non oggi, almeno domani. La sua biografia “personale”, in un tempo pervaso dal mito del mercato e della competizione individuale, ha comunicato alla società che tutti “ce la potevano fare”. Tutti potevano diventare come lui. Egli stesso “prometteva” sviluppo e benessere al Paese. Perché il Paese, in fondo, è come un’azienda. E lui, il Grande Imprenditore, era l’unico in grado di farla funzionare. Così, del futuro, in politica, si è perduta ogni traccia. E noi ci siamo trovati incapsulati nel presente infinito.

Oggi, nessuno pare in grado di guardare lontano. Le utopie, gli ideali: non funzionano più neppure come slogan. Le promesse: si riducono all’abolizione dell’Imu sulla prima casa. Entro agosto, ovviamente, per non fare passare troppo tempo. Perché un mese è già un orizzonte troppo lontano, per la politica dei nostri tempi.

D’altronde, l’ispiratore della Seconda Repubblica, Berlusconi, fatica ad alzare gli occhi oltre l’immediato. È lì, a casa, in attesa del prossimo 9 settembre, quando la Giunta per le elezioni si esprimerà sulla sua decadenza dallo
status
di senatore. Con il voto del Pd. In quel caso, ha avvertito – e minacciato – il ministro Gaetano Quagliariello, la vita del governo sarebbe a rischio. Il presidente, Giorgio Napolitano, tuttavia, ha ribadito, anche di recente, che, senza una legge elettorale diversa, in
grado di garantire governabilità, dopo il voto, non scioglierà le Camere. Dunque, il “futuro” tracciato dal Pdl è lungo (si fa per dire) un mese. Poi si vedrà. Anche perché il Pdl, in realtà, non esiste più. È una sigla vuota. Rinnegata, più che negata, per primo, da Berlusconi stesso. Il quale, per guardare avanti, ha fatto un salto all’indietro. Di quasi vent’anni. Ha, infatti, deciso di rilanciare Forza Italia. La sigla del suo partito personale, insieme al quale è “sceso in campo”. Nel 1994.

Silvio Berlusconi, d’altra parte, è costretto a scandire il tempo e il calendario in una successione di scadenze, a breve distanza, l’una dall’altra. Per motivi politici e giudiziari. Possibili – e improbabili – elezioni. E nuovi gradi di giudizio, che lo attendono. Così, ieri, in un messaggio ai suoi sostenitori, non ha indicato un percorso. Si è limitato a dire: “Io resisto”.
Il Pdl oppure Forza Italia e tutte le sigle che fanno riferimento all’universo politico di Berlusconi appaiono, quindi, sospese. Incapaci di dettare non una prospettiva, ma un’agenda per i prossimi mesi. Perché non hanno un nome certo. Perché la precarietà del loro leader – unico e insostituibile – si riproduce su di loro, moltiplicata.


L’altro soggetto politico che davvero conti, oggi, è il Partito Democratico. L’unico vero “partito”, lo ha definito ieri Eugenio Scalfari. Di certo non il partito unico. Né unitario. Ma, semmai, incerto. Sulla leadership possibile. Da cui dipende la sua strategia, se non il suo futuro. Il Pd è atteso da una stagione tesa e instabile. Il congresso, in settembre. Le primarie per il segretario di partito, a fine novembre. Probabilmente. Anche se molto dipende dal destino del governo. Che nessuno, nella maggioranza, ha voglia o, comunque, è in grado di far cadere. Ma neppure di sostenere in modo convinto. Così, il governo procede “per necessità”. Ed è come se corresse sul filo. Sempre in bilico. Non può dare l’idea di avere un futuro. Né, per questo, può proporre un’idea di futuro. Gli altri partner di maggioranza, d’altra parte, il futuro l’hanno consumato in fretta. Scelta Civica, la formazione politica di Mario Monti, ormai, è poco rilevante, nell’opinione pubblica. Riavvicinata,
nei sondaggi, dall’Udc. A causa del calo di Scelta Civica, assai più che per la ripresa dell’Udc. Così, dimostra un futuro corto non solo la prospettiva di un soggetto politico di Centro, capace di ancorare il sistema politico italiano.

Ma anche l’idea di una Destra diversa, guidata da un Centro sicuramente affidabile. E, tuttavia, troppo piccolo per essere preso sul serio.
Peraltro, neppure le forze politiche di opposizione sembrano avere un futuro sul quale investire. Non la Lega, divisa all’interno. Impegnata, per sopravvivere, per avere ascolto, a ingaggiare battaglie di respiro corto e senza dignità. Come quella intrapresa contro la ministra Kyenge.
Neppure il M5S sembra interessato a progettare il futuro. Perché il suo successo è strettamente legato all’insuccesso degli altri. Di soggetti politici senza futuro. E, comunque, il modello di azione e di comunicazione interpretato da Beppe Grillo enfatizza il presente. L’immediato. È la politica come happening permanente. Sostenuta dalla Rete e attraverso la Rete. Un ambiente dove è possibile a tutti inter-agire, in modo diretto. E immediato.
Non a caso Enrico Letta, aprendo il meeting di Cl, a Rimini, ha “promesso” che a ottobre la legge elettorale sarà riformata. Si andrà oltre il “Porcellum”. A ottobre. Perché è difficile guardare più in là di ottobre. D’altronde, anche con una nuova legge, al di là degli annunci, pochi sembrano disposti ad affrontare nuove elezioni. In Parlamento, ma anche fra i cittadini.

Lo stesso Letta, non a caso, gode di un consenso personale elevato e gran parte degli elettori si dice contraria all’ipotesi che il suo governo cada. Non per “fiducia”, ma per “timore”. Di quel che potrebbe capitare poi. In fondo, anche noi ci siamo adattati. Alla scomparsa del domani. Così invecchiamo senza rendercene conto, perché, insieme al tempo, abbiamo abolito i giovani e la gioventù, dal nostro orizzonte. Stiamo diventando professionisti dell’incertezza. Navigatori dell’eterno presente. Ma proseguire in questa direzione ancora a lungo pare impossibile. Se il futuro è scomparso, restituiteci almeno
il passato.

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