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Maria Pia Guermandi
A cosa serve il "petrolio"?
25 Agosto 2013
Maria Pia Guermandi
Negli asfittici palinsesti di fine estate, Rai Uno ha infilato un programmino nuovo di zecca, in quattro puntate quattro: Petrolio.>>>
Negli asfittici palinsesti di fine estate, Rai Uno ha infilato un programmino nuovo di zecca, in quattro puntate quattro: Petrolio.>>>

Negli asfittici palinsesti di fine estate, Rai Uno ha infilato un programmino nuovo di zecca, in quattro puntate quattro: Petrolio.
Come recitano i comunicati stampa, il titolo è “ metafora delle nostre ricchezze che per essere utilizzate devono essere identificate, estratte, valorizzate. ”
E le ricchezze che non aspettano altro che di essere colte e mangiate sarebbero, naturalmente, beni culturali e turismo in genere.
Come ha già rilevato con grande tempestività Vittorio Emiliani su questo giornale, il termine stesso ‘petrolio’ associato al nostro patrimonio culturale rimanda ad esperienze clientelari e scientificamente disastrose come furono i giacimenti culturali voluti dall’allora ministro del Lavoro Gianni De Michelis (siamo nei ruggenti ’80).
Ma è l’intera strategia comunicativa della trasmissione che si presta a molte critiche: nella prima puntata, ad esempio, si riciclava l’intero repertorio dei luoghi comuni ‘benculturalisti’ a partire dal ruspante sciovinismo del “possediamo il 70% del patrimonio culturale mondiale”. Affermazione destituita di qualsiasi fondamento scientifico, ma immortale mantra del giornalismo da salotto nostrano.
Meglio articolata la puntata di venerdì 23, forse perchè ci si concentrava su pochi temi. E che temi: l’argomento della puntata era, molto in sintesi, il destino dei nostri centri storici, a partire da Venezia e Firenze. Eppure, nonostante il dilagare retorico del primo cittadino che, con il consueto repertorio da venditore di tappeti, ha illustrato la sua strategia per “vendere il brand Firenze”, solo nel poco spazio concesso ad uno storico dell’arte abbiamo ritrovato il senso di una visione urbana complessiva, dove centro e periferia sono letti non come insieme di spazi – oggetti disgiunti e in vendita al miglior offerente, ma come elementi interdipendenti di un sistema inscindibile, costruito per i cittadini, ben prima che per i turisti.
Nonostante tutto, in ogni caso, Petrolio rappresenta pur sempre un tentativo, seppure un po’ approssimativo, di affrontare uno dei temi rimossi dell’agenda politica italiana.
Ma perchè è così difficile parlare in modo non superficiale, ma chiaro e argomentato del destino del nostro patrimonio culturale? Persino la benemerita Report, su quest’argomento, scivolò sugli stereotipi senza riuscire ad affrontare il vero nodo della questione.
Che è esattamente la funzione, il ruolo che vogliamo dare a questo patrimonio: se quello di merce di scambio nel contratto che presiede all’attività imprenditoriale turistica, o quello di strumento di conoscenza ed educazione alla storia e al progresso civile.
La risposta che trasmissioni come Petrolio e la quasi totalità dei media cercano di suggerire, anche in buona fede, è che non si tratti in realtà di un’alternativa e che le due funzioni possono e debbono coesistere.
È vero, e si potrebbero fare molti esempi, prevalentemente stranieri, ahimè, di una coabitazione felice. Ma ciò accade solo quando esiste una chiara gerarchia culturale e politica fra i due ruoli, che veda l’uno, quello dello sfruttamento turistico, come ancillare, virtuosa conseguenza di quello educativo. Dipendenza frutto non di snobismo intellettuale, ma di logica: solo una cittadinanza resa consapevole, nella sua larga maggioranza, del suo valore è in grado di “usare” una risorsa così fragile come il nostro patrimonio culturale in modo sostenibile, curandone la sua trasmissione nel tempo e restituendo ad altri cittadini di un mondo sempre più piccolo, non l’esperienza avariata del turismo di massa, ma l’opportunità preziosissima di una scoperta, di un incontro di conoscenza personale, seppur breve.
Nella retorica “petrolifera”, si nasconde in realtà l’inganno dell’asservimento alle logiche del mercato di ciò che dovrebbe rappresentare proprio lo strumento di contrasto più efficace a tali logiche, la cultura.
Su questo piano l’alternativa cultura -mercato diventa una contrapposizione frontale, aliena ad ogni mediazione.
Ed è una contrapposizione che sta divenendo sempre più marcata e a cui trasmissioni come Petrolio rischiano di apportare ulteriori elementi di confusione.
Lo ripetiamo, probabilmente in buona fede.
Atteggiamento che è difficilmente attribuibile a chi, per ruolo istituzionale, sarebbe chiamato a difendere le ragioni del pubblico e che invece non perde occasione per inneggiare alle virtù del privato. Secondo l’attuale sottosegretaria del Mibac, i “beni trascurati o minori” dovrebbero essere affidati a privati, o meglio a quel terzo settore ben conosciuto dall’ex presidentessa Fai (siamo o non siamo il paese del conflitto d’interessi istituzionalizzato?). In questa visione neofeudale incurante non solo della Costituzione, ma pure della logica (difficile che i privati subentrino laddove manca proprio il requisito della redditività) lo stato è opportunamente relegato alla funzione di “custode” (sic!) per conto terzi.

Possibilmente poco rumoroso, e servizievole.

L'articolo è pubblicato contemporaneamente su L'Unità on-line, "nessundorma"

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