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Norma Rangeri
Tutti per lui, lui per tutti
31 Luglio 2013
Articoli del 2013
Per vent'anni i dirigenti del PD hanno voluto assomigliare a Berlusconi: logico che ora dicano "vogliamo governare con lui anche se è condannato per frode fiscale".
Per vent'anni i dirigenti del PD hanno voluto assomigliare a Berlusconi: logico che ora dicano "vogliamo governare con lui anche se è condannato per frode fiscale".

Il manifesto, 31 luglio 2013
Siamo messi male, lo sapevamo, ma in queste ore ne abbiamo vistosa conferma, persino patetica, con quell'immagine dell'Italia, paese alla periphery d'Europa, come con franchezza ci definisce, e deferisce, il Fondo monetario. Che osserva, come del resto tutte le televisioni che stazionano sulla scalinata del Palazzaccio romano, le istituzioni repubblicane e le sorti del governo appese alle ultime battute di un processo decennale.

Siamo arrivati a questo passaggio cruciale mentre ancora brucia il risultato delle ultime elezioni politiche, con l'autoaffondamento del centrosinistra e la disintegrazione delle liste di alternativa. Il dopo-elezioni ha sparso altro sale sulla ferita, rendendoci spettatori della rissa del gruppo dirigente del Pd e, soprattutto, della scelta presidenziale delle larghe intese.

In questo ultimo passaggio giudiziario la colonna sonora è oltretutto scandita da un grande festival dell'ipocrisia, interpretato dai ritornelli dei più accaniti fan del condominio con Berlusconi. Costoro cantano in coro che non capiscono perché mai bisognerebbe proprio ora rompere con l'alleato di palazzo Chigi solo per una eventuale sentenza di condanna. Dicono che governare con il pregiudicato non cambia nulla, anzi sostengono che fingendo indifferenza per i suoi destini penali, il governo dà prova di difendere la propria autonomia. La verità naturalmente è un'altra: amministrare con i berlusconiani non è una necessità, ma l'approdo per cui il Pd, o larga parte del partito, ha lavorato sodo. E ora, giustamente, il sudato traguardo viene difeso a qualunque prezzo. Anche perché il non aver saputo battere politicamente l'avversario degli ultimi vent'anni ha una spiegazione semplice, logica, coerente: volergli somigliare. Fino a raggiungere la massima condivisione con l'unico leader politico di riferimento, e regalargli una rendita di posizione che né lui, né i suoi alleati hanno interesse a dilapidare.

Il copione di questo ultimo atto si svolge avendo sullo sfondo una situazione economica che ci colloca fuori dall'Europa. Un piccolo esempio spiega meglio di un saggio la deriva nazionale: su 100 pannelli solari installati in Italia, 98 sono importati, 1 è prodotto da un'impresa estera in Italia e 1 da un'impresa italiana. Una struttura produttiva fuori gioco e la situazione sociale va di concerto.

Tuttavia qualche segnale positivo la giornata di attesa l'ha prodotto: le azioni Mediaset e Mondadori hanno messo le ali, come se il mercato avesse annusato che per il Cavaliere tira buon vento. Se i lauti guadagni in Borsa delle imprese berlusconiane fossero l'annuncio di una sentenza favorevole, avremo solo la conferma dell'impunità che sempre ne ha accompagnato la lunga carriera politica. Oltre a riconoscere che spendere una fortuna in avvocati alla fine è un ottimo investimento. Del resto quanti «berlusconi» sono ospiti delle nostre fatiscenti carceri? Se pure per una volta la legge fosse uguale per tutti, sarebbe l'eccezione che conferma la regola.

Naturalmente, una eventuale assoluzione, totale o parziale (con il conseguente rischio della prescrizione), è da escludere che sia frutto delle forsennate pressioni a preservare un assetto di potere che si appresta a chiudere il cerchio della crisi modellando l'impianto costituzionale nella forma più aderente ai nuovi equilibri.

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