loader
menu
© 2024 Eddyburg
Francesco Merlo
Perché le Province non muoiono mai
4 Luglio 2013
Articoli del 2013
Un abile assemblaggio di luoghi comuni in merito all'organizzazione del potere pubblico sul territorio. La Repubblica, 4 luglio 2013, con postilla e promessa

LA PROVINCIA è come la coda della lucertola, quando la tagli ricresce. Nessuno è mai riuscito ad abolirla, è uno degli impossibili della politica italiana, come la riforma della Rai. L’ente inutile degli stipendi inventati, del nascondimento della disoccupazione e delle clientele, la piccola patria degli uscieri, il centro di spesa del keynesismo straccione ha questa misteriosa facoltà di resurrezione

Che è garantita dalla Corte costituzionale. E certo la Consulta avrà le sue ragioni formali a bocciare lo strumento del decreto legge utilizzato senza «la straordinaria necessità ed d’urgenza» ma è paradossale che la controversia su una forma, di cui si fa abitualmente abuso, sia più forte della sostanza politica, del buon senso, dell’emergenza economica, della volontà del Parlamento e della volontà popolare.

È vero che la Corte non è una assemblea politica, ma non è neppure un asettico consesso di tecnici che si pronunciano su questioni che interessano solo gli specialisti. I suoi giudici non vengono chiamati a esercitare il loro compito dal voto degli elettori, ma «non sono lontani ed estranei – ha scritto Valerio Onida – alla vita democratica del paese e ai suoi problemi ». Ebbene, la Consulta non può certo ignorare che tenendo in vita la Provincia ha offerto il suo scudo stellare al peggiore simbolo, non solo sul piano istituzionale, dell’arretratezza italiana, alla casta e all’odioso ceto politico che non vuole accettare per sé i sacrifici che impone a tutti gli altri cittadini.

Ed è sorprendente che ad avere abolito la Provincia sia rimasta solo la Sicilia, che è l’isola della Tortuga, il regno degli sperperi, la regione autonoma dove la casta è davvero speciale grazie al suo statuto speciale – una casta con le sarde l’avevamo chiamata – perché colleziona privilegi di ogni genere, e ha circa quarantamila stipendiati tra dipendenti della Regione, forestali e assunti nelle società partecipate, con una spesa complessiva che supera il miliardo di euro all’anno.

L’abolizione delle Province è stata e tornerà ad essere il cavallo di battaglia (sempre azzoppato) di tutte le opposizioni, lo slogan (sempre tradito) di tutte le campagne elettorali, da De Mita a Berlusconi, da Prodi a Beppe Grillo, a Bersani. Solo la Lega si era battuta apertamente per mantenerle in vita perché per sua vocazione difende tutti i piccoli feudi dell’identità e vorrebbe addirittura moltiplicarli, a cominciare dalla Ladinia come terza Provincia autonoma nella Regione Trentino Alto Adige. D’altra parte, quella provinciale è la sola fetta di casta e di clientele che è rimasta alla Lega. E infatti Bossi minacciò una rivolta nel nome di Bergamo.

Ma la verità è che l’abolizione delle Province, come per magia, ha sempre cambiato natura all’ultimo momento. C’era chi proponeva di cancellare, al posto delle Province, le prefetture; una volta la soppressione divenne trasformazione in area metropolitana; più spesso è stata proclamata e subito insabbiata in attesa di una futura legge attuativa. Insomma, si è sempre fermata davanti all’egoismo della politica. Raccontano che, già ai tempi della Bicamerale, Massimo D’Alema abbia gelato il costituzionalista Augusto Barbera con la seguente battuta: «E se l’inutile fossi tu?». Francesco Storace, che è fascista ma spiritoso, riassunse così la battaglia del governo Berlusconi contro le Province: «Avevamo promesso di abolire le Province e il bollo auto, ed è finita che ora affidiamo la gestione del bollo auto alla province».

E ora anche la morte per accorpamento che fu decretata dal governo Monti benché deludente e tremebonda perché uccideva le identità ma non le competenze (non sottraeva ma addizionava) è stata comunque bocciata come una bestemmia dalla Corte costituzionale per una volta d’accordo con la sola forza politica anticostituzionale che c’è in Italia: la Lega.

Forse in questa resistenza della Provincia non c’è solo l’ostruzionismo del ceto politico che si spinge a negare e a bollare come demagogiche le stime che, se l’abolizione fosse vera e completa, calcolano il risparmio attorno ai 12 miliardi di euro. C’è anche il sarcofago egiziano che l’italiano di strapaese si porta addosso. E va bene che qui il discorso diventa antropologico e non più istituzionale, so che è audace dirlo, ma l’intervento della Corte rischia di fare passare per costituzionale il modello standard dell’idea di Nazione- Italia: «Paese mio che stai sulla collina / disteso come un vecchio addormentato / la noia, l’abbandono, il tempo son la tua malattia …». Nel senso che la Corte potrebbe avere stabilito che non si possono abolire con un semplice decreto l’albero degli zoccoli, le lucciole pasoliniane, la Racalmutometafora di Sciascia, le melanzane e il latte di capra come archetipi di una modesta ma sicura felicità, la vita come una lunga partita a carte che ricomincia ogni pomeriggio e non finisce mai.

Volete la prova del nove? Persino in Sicilia l’abolizione della Provincia rischia di rivelarsi un sotterfugio di allegra tradizione napoletana più che sicula. Il disegno di legge abolisce infatti le nove Province, ma non cancella il livello intermedio tra Comuni e Regioni perché, sempre per specialità di Statuto, darà vita ai liberi consorzi comunali che, con 5 milioni di abitanti, presto potrebbero essere ben 33. Al posto di 9.

Postilla

Che bello sarebbe se i giornalisti, in Italia, sapessero di che parlano quando affrontano temi un po’ più complessi di quelli della politique politicienne! Soprattutto quando hanno la penna accattivante e godono credito nell’opinione pubblica. Ma l'articolo di Francesco Merlo merita una risposta un po' piò ampia dello spazio di una postilla. A domani

ARTICOLI CORRELATI
29 Settembre 2014
30 Dicembre 2013
29 Dicembre 2013
24 Dicembre 2013

© 2024 Eddyburg