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Paolo Favilli
L'ottavo pilastro della saggezza
21 Febbraio 2012
Articoli del 2013
Prosegue il dibattito aperto da AAR su il manfesto del 21 febbraio 2012 sui pilastri del potere cui il governo italiano partecipa

La costituzionalizzazione del bilancio statale. Un "ottavo pilastro" che rafforza il meccanismo sistemico del dominio. Discutendo con Alberto Asor Rosa

Il lungo articolo ("I sette pilastri della saggezza" il manifesto 19/1), di Alberto Asor Rosa ha, tra i molti pregi, anche e soprattutto quello di riportare il discorso sulla fase politica in corso ai suoi fondamenti ed ai suoi lineamenti di lungo periodo. Un approccio certamente non estraneo alla tradizione di questo giornale, ma del tutto in controtendenza rispetto alla spuma di superficie che agita la pubblicistica quotidiana (e non solo), ben compresa quella che solitamente viene definita come "autorevole". Pensare la contingenza politica è, quindi, di per sé, già un atto di resistenza.

Per quel niente che può contare, mi trovo ad essere d'accordo, nella sostanza, con l'analisi della contingenza fatta da Asor Rosa. Vorrei, però, ragionare su alcuni aspetti che derivano da quei lineamenti e che, a mio parere, rendono i dati di realtà già oggetto di analisi, ancora più preoccupanti e pericolosi di quanto, e non è certo poco, è pur messo in evidenza da quell'articolo.

1) Ovviamente Asor Rosa non si fa alcuna illusione sul carattere "tecnico" del governo Monti. Egli ha ragione quando dice che è stucchevole discettare se tale governo sia "tecnico" o "politico". Forse però è meno stucchevole interrogarsi sulla funzione, del tutto ideologica, assunta dalla continua ed insistita autoproposizione della specificità "tecnica" come legittimazione, in ultima istanza, del ruolo di un governo particolare. Una autoproposizione sempre presente nelle parole del presidente del consiglio e dei suoi ministri.

Asor Rosa ritiene che tale «sua propria "tecnicità"» vada «intesa, più che come superiore sapienza ed esperienza, come estraneità alle procedure e allo spirito del tradizionale gioco politico italiano».

Non c'è dubbio che questo aspetto sia ben presente nell'esperienza del governo Monti, ma non ritengo che sia la dimensione essenziale della proposizione (auto e insieme di tutta la stampa "autorevole") della proclamata funzione "tecnica" essenziale del governo stesso. Anzi credo che sia proprio il ricorso alle risorse della «superiore sapienza» a rendere così ampia la pervasività dell'ideologia che si integra perfettamente nelle ragioni forti dell'esperienza governativa. Un ottavo pilastro della saggezza?

L'ideologia, in tutti i suoi molteplici aspetti e forme, diventa l'elemento essenziale esplicativo dell'egemonia. Quali sono le possibilità di emancipazione dei subalterni in una società in cui il potere dominante è sottilmente, capillarmente diffuso attraverso le abituali pratiche quotidiane, strettamente intrecciato alla "cultura" stessa? Com'è possibile combattere un potere divenuto «senso comune»?

2) Le molteplici forme dell'ideologia comprendono tanto le narrazioni in grado di dare elementi di conoscenza reale, quanto le narrazioni che invece ne sono del tutto prive. Nel nostro caso il «senso comune » è continuamente alimentato da una narrazione che legittima un governo in nome di uno stato di necessità. Stato di necessità che può essere superato solo tramite competenze in sé «superiori» perché fondate sull'unico sistema di teoria economica che possa considerarsi vero.

Questo tipo di narrazione non ha nessun rapporto con i procedimenti ed i risultati della ricerca economico-sociale anche solo degli ultimi vent'anni. Se rimanessimo sul piano della capacità della teoria critica di spiegare i meccanismi della crisi attuale, la sua prevedibilità, ebbene il confronto con gli apologeti del mercato autoregolantesi, od anche con i teorici dei «mercati imperfetti», sarebbe già vinto. Non è però questo il piano del confronto.

Per spiegare alcuni fenomeni politici difficilmente comprensibili alla luce della «ragione positiva» si è fatto ricorso alla categoria delle «religioni politiche». Penso che dovremmo introdurre anche la categoria delle «religioni economiche». In tale ambito gli economisti mainstream, e Mario Monti ne è paradigma, assumono la funzione dei sacerdoti piuttosto che quella degli scienziati. Una funzione braminica: sacerdotale e di casta. Una funzione essenziale in una fase della lotta di classe che si configura piuttosto come vera e propria «guerra di classe». Mi rendo conto che sto usando espressioni ormai desuete, in qualche modo considerate «estreme». Ma l'estremismo è nei dati di fatto, nei modi in cui le classi dominanti stanno conducendo quella che considerano la fase finale e risolutiva di un lungo percorso bellico.

L'operazione di nuova legittimazione del potere dominante attraverso la promozione di idee e valori congeniali a tale potere e presentati come universali e naturali, ha avuto ed ha caratteri che è veramente difficile non definire estremisti.

Dalla Mont Pelerin Society, al Gruppo Bilderberg, alla Trilateral Commission, nate in tempi diversi ma con il medesimo orizzonte teorico e politico, è sempre uscito il medesimo messaggio estremo. La sostanza del messaggio concerne la non compatibilità di quasi tutti i diritti sociali (ed anche di qualcuno politico) con le logiche del «libero mercato». Se la democrazia, di per sé inesaustiva, finisce per ampliare troppo la sfera dei diritti, allora si verificano «eccessi di democrazia».

Il carico di istanze democratiche tendenzialmente crescente secondo una razionalità emancipatrice, finisce per confliggere con la razionalità dei processi di accumulazione. Di qui l'urgenza di escludere la sfera economica dai processi decisionali politici, in particolare dalle assemblee rappresentative, in particolare da quelle a rappresentanza proporzionale. La discussione politica deve rimanere estranea ai temi di quell'economia politica che presuppone i principi costitutivi dell'organizzazione sociale. L'elettorato si occupi di sicurezza, identità, etica ecc., ma non sia chiamato a decidere l'ordine politico e sociale esistente. La competizione politica deve quindi non includere quelli che vogliono cambiare questo ordine.

Non è un caso che la costituzione cilena dopo il colpo di stato si sia chiamata «Costituzione della libertà». Del resto tra i 76 consiglieri economici di Reagan, 22 erano membri della Mont Pelerin Society. Non è facile pensare come moderata la sostanza di questo messaggio. E Mario Monti è stato presidente europeo della Trilaterale fino a tempi molto recenti. Ed anche la Costituzione italiana, pur senza le convulsioni cilene, si prepara a diventare una «Costituzione della libertà».

3) La Costituzione italiana si iscrive completamente nella visione della democrazia in continua costruzione, nel progetto inesaustivo dell'uguaglianza da declinarsi nella sperimentazione di nuovi rapporti economico sociali.

In questo senso la Costituzione italiana fa una scelta dirimente, sebbene limitata ai principi generali: la scelta è quella di non considerare lo svolgimento delle forze economiche sul mercato come risolventesi spontaneamente in utilità generale. Su tale base la Costituzione si pone come garante di un indirizzo finalizzato al coordinamento verso finalità sociali dell'attività economica.

Naturalmente tali principi generali non hanno certo potuto sottrarsi alle dinamiche dei rapporti di forza. Sono diventati maggiormente operanti nei periodi in cui tali rapporti favorivano le classi subalterne.

Oggi, invece, ci stiamo preparando a costituzionalizzare un particolare modo di gestione del bilancio statale. In sostanza la chiave di ogni politica economica e sociale. Ecco che la teoria economica mainstream, una teoria economica, diventa la teoria economica della legge fondamentale che regola rapporti politici e sociali. Si tratta di un fenomeno di rilevanza eccezionale, ancora troppo poco percepito anche da parte di chi esercita attenzione critica alle vicende del momento attuale. Un ottavo pilastro che rafforza, e non di poco, il meccanismo sistemico del dominio.

Anche per questo le recenti affermazioni del presidente del consiglio sulla «monotonia del posto fisso» e sul «buonismo sociale» che avrebbe contraddistinto un lunghissimo periodo della storia italiana, non sono interpretabili come ingenue sprovvedutezze di comunicazione. Sono invece l'indice della consapevolezza che in una fase in cui la vittoria definitiva appare a portata di mano, è anche necessario bastonare il cane che affoga.

4) Nelle conclusioni del suo articolo Asor Rosa ragiona intorno all'«assenza di una risposta critica alternativa al livello dei problemi» posti dalla combinazione dei sette pilastri ai quali possiamo aggiungere l'ottavo. Certo il processo di costruzione/ricostruzione dell'antitesi sarà certamente vicenda di lungo periodo. Nello stesso tempo però esiste un qui e ora dal quale nessuno di coloro che all'antitesi sono interessati può prescindere. Serpeggia sempre, invece, la tentazione del «ripartire da zero», del «big bang», in sostanza della tabula rasa. Metafore affascinanti. Suggeriscono campi infiniti di libertà, praterie da percorrere senza limiti. Tutto sembra diventare possibile. Gli orizzonti sono infiniti e i pesi della storia ce li siamo scaricati dalle spalle.

Si tratta, però, solo di effetto retorico, di costruzione narrativa. Nei processi storici reali, neppure in quelli di più radicale cesura, i meccanismi di mutamento funzionano così. I rapporti cesura/continuità hanno ben altra complessità e di lì bisogna necessariamente passare. Il punto più problematico del nostro qui e ora non è tanto nella costruzione di un pensiero critico nell'ambito dei diversi contesti analitici. Senz'altro ci troviamo di fronte ad un insieme ancora molto povero, ma c'è ed è in sviluppo. Quello che manca totalmente è il rapporto positivo con le forme organizzate della politica. E su questo piano nessuno dei gruppi dirigenti di tali organizzazioni, per quanto piccole, può sfuggire alle proprie responsabilità, tanto per il passato recente, che per il futuro, a cominciare da quello molto prossimo.

Intanto il manifesto solleciti chi ha responsabilità politiche dirette ad esprimersi sui temi di questa discussione. Possibilmente con pensieri lunghi anche nel considerare le forme in cui affrontare i tempi brevissimi degli appuntamenti ai quali tutte le forze che si riconoscono nell'antitesi non possono sottrarsi. Appuntamenti elettorali non esclusi.

* Professore di storia contemporanea e teoria della conoscenza storica - Università di Genova

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