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Walter Tocci
Zattere o cantieri? Non dipende solo da loro
12 Maggio 2013
Società e politica
Articoli di N. Rangeri, W. Tocci e E. Martini sull’assemblea nazionale del PD e sull'incontro romano di SEL. Un quadro un po' più ricco di quello di Maltese.

Il manifesto, 12 maggio 2013

LE DUE ZATTERE DELLA SINISTRA

di Norma Rangeri

Come sopravvissuti a un naufragio politico, Pd e Sel si ritrovano aggrappati a due diverse zattere: la prima galleggia dentro la corrente berlusconiana, in un mare tempestoso; la seconda cerca di ritrovare un approdo sicuro, ma le acque sono ugualmente agitate. Mentre da terra c'è chi assiste passivamente, i grillini, a questo incerto navigare. L'assemblea del Pd e la piazza di Sel hanno parlato ieri ad un elettorato sfiduciato e deluso, tentando di recuperare consenso per un'alleanza spezzata dalla scelta di un governo di larghe intese che ha seppellito l'unico vero governo di emergenza e di cambiamento chiesto dal voto. Vendola lo ha fatto sventolando le bandiere dei diritti, del lavoro, dei beni comuni, in una piazza romana mobilitata dal bisogno di ritrovare le ragioni profonde, civili, culturali, economiche per uscire da un periodo storico - fortemente segnato dal centrodestra - che ha sfigurato il paese seminando razzismo, privilegi, povertà e paura. E insieme a Stefano Rodotà è tornato a seminare il campo del centrosinistra. Nella sua assise il Pd ha aperto invece lo scontro congressuale, eleggendo come segretario un sindacalista che ha messo al centro del suo impegno i temi del lavoro, promettendo una discussione esplicita ed esortando a ritrovare un senso di appartenenza. Precipitato nell'opacità del correntismo, nello smarrimento del conflitto aperto, il prossimo congresso dovrà costruire - se ne sarà capace - le basi stesse, teoriche e politiche, di una rifondazione della sinistra.

Già da questa assemblea, emerge la voglia di un confronto sui contenuti, una presa d'atto del difetto di analisi sulla crisi che ha travolto tutte le sinistre in Europa, un riferimento esplicito ai 27 milioni di cittadini che votando ai referendum del giungo 2011 avevano indicato la strada per una sinistra italiana larga e popolare. Quel poco di dibattito di ieri ha messo in risalto i forti mal di pancia avvertiti da larga parte dei vertici (perfino Renzi ha preso le distanze dalla cosiddetta «pacificazione» che vorrebbe il Pdl) e dalla base del partito. Da qui la richiesta di produrre documenti congressuali a tesi, per impegnare non solo gli iscritti ma tutti gli elettori delle primarie a un dibattito di massa sulla natura del futuro partito. Precipitato nell'opacità del correntismo, per aver bruciato ogni rendita di posizione, l'appuntamento con l'alternativa diventa una strada quasi obbligata. Tutta la sinistra, vecchia e nuova, compresi quegli otto milioni di voti parcheggiati ai 5Stelle, sa che potrà svolgere il ruolo che le compete se le forze organizzate che la attraversano sapranno riconoscere quanto di nuovo c'è già nel mondo delle associazioni, della cittadinanza attiva, quante competenze e quanta politica già si esprime nelle forme di autogestione del territorio, dei servizi, se le amministrazioni locali, i comuni, saranno sul serio i laboratori del nuovo welfare universale.

Quanto durerà questo governo? Nessuno può rispondere. Ma sappiamo che dalla crisi europea e nazionale, dalla crisi della politica soggiogata dall'economia si esce solo con la sconfitta del liberismo, solo con le idee di uguaglianza e di libertà di una sinistra nuova. E sappiamo che questa destra, che va in piazza con il vicepremier Alfano e vari ministri per attaccare la magistratura - una vergogna che in altri tempi avrebbe fatto già saltare il governo - tirerà la corda fino a strapparla. Vogliamo sperare che in quel momento le forze di sinistra sapranno ritrovarsi per un nuovo percorso davvero comune.

APRIAMO LE PORTE AL CONGRESSO

di Walter Tocci

È tempo di voler bene al Pd. A quello rappresentato in questa sala e a quello di milioni di militanti ed elettori che ci guardano col fiato sospeso. Il Pd ha bisogno di cure, non si sente tanto bene. Chi lo ha fatto ammalare oggi vorrebbe proseguire come prima. Da quando è nato non ha mai vinto, anzi è andato sempre peggio alle elezioni politiche. Le sconfitte di ieri sembrano successi oggi. Magari avessimo i voti del 2008 che pure non bastarono per battere la destra. Magari avessimo i 19 milioni di voti del 2006 che pure non furono sufficienti per governare. Nella discesa non siamo mai riusciti a invertire la tendenza. Anche dopo l'ultima sconfitta abbiamo reagito come se non fosse successo niente. Quelli che due mesi fa si gonfiavano il petto dicendo siamo pur sempre il primo partito, ora ci spiegano con la stessa sicumera che non abbiamo vinto le elezioni e quindi il governissimo è una scelta obbligata. Più che un obbligo è sembrato un desiderio inconfessabile. Non a caso realizzato con l'ipocrisia dei 101 tiratori ben poco franchi. Ecco la verità più amara, che quasi non mi esce dalle labbra per quanto fa male. Berlusconi è stato più furbo dei nostri comandanti. In due mesi non ha sbagliato una mossa mentre i nostri non ne hanno indovinata una. Ha saputo passare all'opposizione di Monti e noi siamo rimasti col cerino in mano. È andato all'assalto del Palazzo di Giustizia ed ha vestito i panni dell'uomo di stato. Ha fatto capire agli italiani cosa voleva sull'Imu e contro l'austerità europea. Lo abbiamo preso in giro per queste provocazioni, ma ora siamo costretti ad attuarle, anche perché in parte le volevamo anche noi ma non sapevamo dirlo meglio. Il nostro messaggio è sempre stato vago: un po' di equità e un po' di lavoro. Ora abbiamo due doveri, al governo e nel partito.

1. Dobbiamo liberarci dalla superiorità tattica della destra. Bisogna dire al paese cosa ci vogliamo mettere di nostro nel governo Letta. Ci viene subito da dire «lavoro», ma anche qui fuori dalla genericità e dal conformismo. Da venti anni invece di creare lavoro si scrivono leggi e si inventano incentivi fiscali sperando che la spontaneità del mercato faccia il resto. E siamo arrivati al massimo della disoccupazione. Per creare lavoro non bastano i legulei né i fiscalisti, ci vogliono imprese creative, amministrazioni efficienti e progetti fattibili: per ristrutturare 10mila scuole rendendole più sicure e accoglienti; per recuperare la più brutta edilizia del secolo e curare l'ambiente; per trasferire nel mondo digitale la memoria della civiltà occidentale che custodiamo malamente; per sostituire alcune costose funzioni ospedaliere con reti territoriali di servizi. Ci vuole un Piano del lavoro per i giovani, non solo con la spesa pubblica, creando nuove convenienze per imprese private e sociali. Bisogna rompere il tabù che da tanto tempo impedisce di progettare e realizzare politiche attive del lavoro.

2. Dobbiamo riconquistare la fiducia degli elettori e dei militanti aprendo le finestre del partito per far entrare aria fresca. Molti vogliono dire la loro e controllare che non si ripetano altri errori. C'è un tumulto di passioni e di idee che chiede a noi parole di verità. Non deludiamo le attese. Sarebbe una diaspora definitiva e ci ritroveremmo al congresso più poveri e meno numerosi. Assemblee dei circoli e singoli iscritti avanzano le loro proposte. Chi le leggerà? Chi risponderà? Organizziamo un metodo nuovo di ascolto della nostra gente. La «mobilitazione cognitiva» di Fabrizio Barca deve realizzarsi già nella preparazione del congresso. Ci sono tecniche moderne e tecnologie adeguate per organizzare la partecipazione. Abbiamo centinaia di assistenti parlamentari e altrettante persone negli uffici stampa. Mettiamoli insieme per costituire una task-force specializzata che raccolga tutti i contributi e ne offra una sintesi alla prossima riunione di questa assemblea.

Non è il momento di arroccarsi. Già negli anni passati le correnti hanno chiuso le porte per comandare meglio. Del comitato dei fondatori del 2007 abbiamo perso tutte le personalità esterne, da Gad Lerner a Carlo Pietrini a tanti altri. Eppure, dovremmo riprovarci seriamente costituendo un «Consiglio di Saggi», cercandoli negli ambienti sociali, culturali e territoriali del nostro elettorato. Sarebbe di aiuto al traghettatore. Epifani ha ringraziato i capi corrente che lo hanno candidato. Capisco la cortesia. Gli chiedo solo di utilizzare la sua esperienza e l'autorevolezza per non rimanere prigioniero della cortesia. Viene dalle organizzazioni sindacali, le quali nel ventennio sono state certamente più solide dei partiti. Per questo motivo quando il Psi vide il pericolo di estinzione si affidò, inutilmente peraltro, a due sindacalisti come Del Turco e Benvenuto. Anche l'ultima stagione della Dc, quella dei Popolari, venne affidata al capo della Cisl, Franco Marini, che ebbe l'intelligenza di portarla nel Pd. Poi il progetto non ha funzionato come avremmo voluto. Oggi, il compito del traghettatore è più breve, ma incombono sfide politiche che renderanno burrascosa la traversata. Per approdare sulla nuova sponda dovrà togliere il comando ai professionisti delle sconfitte.

[Il testo è l'intervento consegnato all'assemblea nazionale Pd, ma non pronunciato per la chiusura della discussione]

«LA COSA GIUSTA, DI SINISTRA»

di Eleonora Martini

«Meglio sapere dove andare senza sapere come, che sapere come andare senza sapere dove». È il sindaco di Cagliari Massimo Zedda a riassumere - citando Queimada di Gillo Pontecorvo - il punto attorno a cui ruotano gli interrogativi della sinistra che c'è e più ancora di quella che verrà. Associazione cinematografica che da Spike Lee attraversa l'Atlantico per collegarsi a «La cosa giusta» da fare per «non morire di berlusconismo». Nichi Vendola parla chiaro a quel popolo che ha riempito ieri pomeriggio Piazza Santi Apostoli a Roma, accorso per la manifestazione convocata da Sinistra ecologia e libertà per dire no al governissimo: «La cosa giusta non è rompere il patto con il popolo del centrosinistra», non è lavorare «per scorticare qualche pezzo di Pd», né «rinchiuderci in un passato da sinistra radicale o minoritaria».

Il compito di Sel e di quell'associazionismo diffuso che ha riempito ieri la piazza, è «entrare da protagonisti nel tempo futuro». Insomma, mai più «due sinistre che si contendono spazi angusti», come dice Gad Lerner. E piuttosto che impegnarsi «a denunciare il tradimento del Pd», il progetto di Vendola è lavorare per «allargare le contraddizioni interne» e convincere tutti i democratici della bontà della sua proposta: «Nasca un governo di cambiamento, con le forze che sono nel campo della sinistra». Il programma di governo presentato da Enrico Letta «è irrealizzabile e velleitario». Fare la cosa giusta significa «cercare ancora», «con libertà mentale, con curiosità e senza scorciatoie». A Guglielmo Epifani Vendola rivolge «auguri sinceri» (ma in piazza c'è chi non li condivide) perché «per lui sarà complicato assolvere il compito di rimettere in piedi un grande partito di sinistra nel momento in cui il suo alleato principale è impegnato a Brescia a manifestare contro la magistratura».

E la sinistra del futuro, che è «una categoria del sociale prima ancora che del politico» (parole di Riccardo Terzi, citate più volte dal palco dove in tanti hanno preso la parola), viaggia su tre assi fondamentali: diritti, lavoro e beni comuni, il primo dei quali «non è né la scuola né l'università, ma l'istruzione». È questo l'unico bene che può traghettare l'Italia fuori da quella sottocultura «da scantinato di una repubblica morente», come la definisce Vendola riferendosi al «celodurismo» imperante nell'era berlusconiana e di cui vediamo ancora i segni negli insulti alla ministra Kyenge, per esempio, o alla presidente della Camera, Boldrini. L'istruzione è l'unico strumento per combattere quell'analfabetismo di ritorno, di cui parla Maso Notarianni (Emergency), che vede oggi «quasi l'80% degli italiani senza strumenti culturali minimi, incapaci di interpretare un qualsiasi testo scritto». Diritti soprattutto - il tasto su cui batte di più il giurista Stefano Rodotà, accolto come il vero riferimento intellettuale di questa area - che sono «l'elemento fondamentale della lotta politica»: «Tutti abbiamo uguale patrimonio di diritti fondamentali, in qualunque luogo ci troviamo e in qualunque condizioni sociale di provenienza». Ed è proprio in tempo di crisi che c'è più bisogno di attenzione ai diritti, perché sono i primi a soccombere. Diritti che si possono coniugare in mille modi, perché «sono molte le cose giuste da mettere insieme», argomenta Rodotà, un po' a disagio per i cori da stadio - «Presidente, sei solo un presidente», urlano dalla piazza -: cittadinanza, lavoro, salute, ambiente. Ma soprattutto rispetto della Costituzione e della volontà popolare: «Dobbiamo chiarire quale idea di Costituzione abbiamo: non si può però pensare di ridiscutere la forma di Stato e di governo come se i cittadini non si fossero mai espressi su questo punto». Per tutti la prima cosa giusta da fare è cambiare l'attuale legge elettorale: «Basta una norma semplice che cancelli il Porcellum per tornare al più decente Mattarellum», è la strada indicata da Vendola.

Per quanto riguarda il suo partito, il leader di Sel ha già in mente di proporre al primo congresso, in autunno, di «togliere la parola Vendola dal nostro simbolo -dice -perché io mi riconosco in voi». Parole simili le aveva pronunciate poco prima il giurista più amato a sinistra: «Questo Rodotà lo avete inventato voi».

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