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Ulrich Beck
Quattro risposte sull'Europa
4 Maggio 2013
Articoli del 2013
«Credo che la situazione storica sia assolutamente inequivocabile: l’Unione Europea è in grado di realizzare gli interessi nazionali più di quanto potranno mai fare le nazioni da sole. Perché si affermi questa convinzione, è necessario battersi in Europa per l’Europ».

«Credo che la situazione storica sia assolutamente inequivocabile: l’Unione Europea è in grado di realizzare gli interessi nazionali più di quanto potranno mai fare le nazioni da sole. Perché si affermi questa convinzione, è necessario battersi in Europa per l’Europ».

La Repubblica, 4 maggio 2013
IL 2013 assomiglia davvero al 1789, come scrive allarmato il giornaleLe Point,pigiando sulla tastiera del simbolismo storico della grande nation? Oppure è l’ironia dell’estremo disorientamento che vuole attirare l’attenzione pubblica giocando con una metafora rivoluzionaria deliberatamente sbagliata? Viviamo in “tempi rivoluzionari” – anche se senza rivoluzione e senza soggetto rivoluzionario. Ciò che prima era a buon diritto chiamato “rivoluzione” si è per così dire trasferito nelle condizioni generali. Lo si può osservare con la massima chiarezza nel tramonto del linguaggio, delle coordinate politiche e dei concetti-chiave. Prendete quelli che volete: il nazionalismo, che nel mondo interdipendente non fa che acuire ogni problema; la distinzione tra indigeni e stranieri; la demarcazione tra natura e società; la famiglia; primo e terzo mondo; centro e periferia; Unione Europea – ovunque formule linguistiche svuotate, coordinate spezzate, istituzioni devitalizzate.

Il prefisso “post” è la parola-chiave del nostro tempo: postmoderno, post-democrazia, costellazione post-nazionale. “Post” è il bastone per ciechi degli intellettuali – la piccola parola del grande disorientamento che regna ovunque.Lo spettro della “post-grande nation” si aggira per la Francia e per l’Europa. La narrazione del ruolo peculiare della Francia in Europa e nel mondo, che ha formato l’autocoscienza della grande nation a partire dal 1945, perde il suo senso storico. All’interno l’orgoglio francese si fondava sul “modello sociale” dello Stato forte e centralizzato. L’industria dell’energia nucleare organizzata e controllata dallo Stato era considerata il museo del futuro, nel quale potevano essere ammirate le conquiste del progresso dello Stato moderno. Nella politica estera la potenza globale della Francia era costruita sulla base della posizione eccezionale del Paese nell’Unione Europea e perpetuata nel motore franco-tedesco dell’europeizzazione.

La forza persuasiva di tutti e tre questi progetti viene meno. Il modello sociale è eroso poiché il regime neoliberista del mercato mondiale domina ovunque. La catastrofe di Fukushima che cova ancora sotto la cenere ha spezzato l’orgoglio nucleare dei francesi. E non c’è bisogno di ripeterlo: l’Unione Europea versa in una crisi profonda. Di più: l’idea che le faccende europee vengano regolate in una coalizione franco-tedesca dominata dalla Francia viene messa in crisi non soltanto dalla cattiva performance politica della Francia, ma soprattutto anche dal fatto non più dissimulabile che la politica di risparmio viene progettata a Berlino e che “Merkiavelli” detta legge in Europa. Nello stesso tempo, però – ecco la schizofrenia – essa si rifiuta di assumere la responsabilità per il bene comune europeo.

Sicuramente, il primo anno del presidente François Hollande è stato deludente. Ma questo comporta forse il pericolo che il presidente debba finire sotto la ghigliottina, come suggerisce Le Point? Certo non si può dire che in questo primo anno la fortuna abbia baciato il presidente. Occorre riconoscere che egli ha quasi sistematicamente deluso le aspettative suscitate nella campagna elettorale. Dopo essere stato eletto per respingere l’isteria della politica del risparmio e per fare accomodare alla cassa i ricchi, non è riuscito – almeno finora – a fare né l’una né l’altra cosa. Il governo si è dedicato a praticare tagli drastici al bilancio. Nel frattempo la tassa sui ricchi è diventata una farsa dopo che la Corte costituzionale l’ha respinta e lo scandalo Cahuzac ha diffuso il suo devastante messaggio sulla doppia morale dei governanti.

Tuttavia, il desiderio dei commentatori, nutrito da un misto di disorientamento e disperazione, di decapitare François Hollande sulla ghigliottina dei titoli di giornale, è del tutto esagerato ed eccessivo. Gideon Rachman, confrontando la situazione della Francia con quella della Gran Bretagna e dell’Italia, giunge alla conclusione che la Francia non sta poi così male. Il deficit di bilancio di quest’anno ammonterà al 3,7%, mentre quello della Gran Bretagna corrisponde al 7,4%. Il saldo passivo della Francia ammonta ora a più del 90% - ma il debito italiano è più del 125%. Il tasso di disoccupazione è dolorosamente aumentato al 10,6%, ma in Spagna ha raggiunto un insostenibile 26%. A differenza dalla Spagna e dall’Italia i francesi possono ancora ottenere crediti a tassi convenienti. E l’economia francese è pur sempre la quinta del mondo. Hollande non entusiasma e attualmente la sua presidenza è turbata da incidenti di percorso. Ma è indubbiamente intelligente, serio ed è consapevole che la Francia deve reinventarsi in Europa e nel mondo globalizzato.
Quando le tempeste dei rischi globali scuotono un paese, sono possibili tre reazioni: la ritirata, l’apatia o la trasformazione. La prima – la ritirata – è tipica dell’alleanza tra la cultura moderna e il nazionalismo. I rischi vengono negati. E si noti il paradosso: il nazionalismo è diventato nemico delle nazioni europee perché non fa che acuire tutti i problemi delle nazioni e dell’Europa. Nelle ultime elezioni presidenziali in Francia il nazionalismo di destra e quello di sinistra hanno ottenuto circa il 30% dei voti – e, stando ai sondaggi, sono ancora in crescita. Qui sta la vera sfida per la Repubblica francese! Non vedo nessuno oltre al presidente Hollande, attualmente così in difficoltà, in grado di superarla e di salvare la grande nation.

La seconda reazione – l’apatia – è il nichilismo postmoderno, che in tutti i paesi ha radici più profonde della disillusione nei confronti della politica attuale, benché le élite politiche abbiano perduto in misura spaventosa qualsiasi credibilità agli occhi di molti cittadini.

La chiave per la terza risposta, la trasformazione, sta nel futuro dell’Europa – e non nella tentazione di cercare una via di fuga nei grandiosi e turbolenti passati nazionali. Come potrebbe presentarsi questa visione del futuro europeo? Al riguardo è necessario un dibattito in tutta l’Europa: qual è il senso e lo scopo dell’Unione Europea? L’Unione Europea ha poi un senso? Perché l’Europa? Perché non il mondo intero? Perché la Francia non può starsene per conto suo, o perché non possono starsene per conto loro la Germania, l’Italia, la Spagna, la Grecia, eccetera? Per avviare questo dibattito estremamente urgente, vorrei abbozzare (per punti) quattro risposte parziali.

Il primo senso e il primo scopo dell’Ue, che sta riacquisendo importanza, consiste nell’esperienza per la quale i nemici sono diventati vicini; non sempre buoni vicini, magari vicini che litigano, si ignorano, coltivano stereotipi, ma non più spauracchi. Sullo sfondo della storia di violenza dell’Europa, di questa “storia clinica di folli” (Gottfried Benn), tutto ciò equivale a un miracolo. Occorre fare molta attenzione affinché l’ortodossia della politica tedesca del risparmio imposta all’Europa e i riflessi antitedeschi non continuino ad acuirsi. Per questa via, alla fine i vicini potrebbero ridiventare nemici.

Il secondo senso e scopo dell’Europa può essere sviluppato come risposta alla globalizzazione. L’Europa è una polizza di assicurazione contro il pericolo che le nazioni europee scompaiano nel buco nero dell’irrilevanza. Il futuro delle nazioni europee può essere riconquistato solo
nell’Europa, non contro di essa. Una Francia post-europea sarebbe una Francia perduta, una Germania post-europea una Germania perduta, una Spagna e un’Italia post- europee una Spagna e un’Italia perdute, eccetera.

Il terzo senso e scopo può essere riassunto in questa formula: il futuro dell’Europa sta nella risposta ai rischi globali. Il modello della modernità nazional-statale e industrial- capitalistica, che l’Europa e l’Occidente hanno imposto a tutto il pianeta, si è rivelato difettoso, anzi, autodistruttivo. L’Europa (per riprendere una metafora del sociologo francese Bruno Latour) si trova nella situazione di un’azienda automobilistica che constata che i suoi modelli di punta hanno freni malfunzionanti e producono emissioni di anidride carbonica nocive per la salute dei guidatori e dei passeggeri. Cosa fa l’azienda? Ritira il suo prodotto! L’Europa deve riportare in un’officina di riparazione il suo modello di modernità autodistruttiva – ossia: ripensarlo e ricollaudarlo politicamente.

La mia quarta risposta alla domanda sul senso e lo scopo dell’Europa vuol essere un sussulto liberatorio, per così dire. Tutti si interrogano sull’Europa, ma nessuno ribalta da capo a piedi la domanda sull’Europa. Non dobbiamo soltanto riflettere sulla visione di un altro futuro europeo, ma anche sulla visione di una “altra nazione”: come si possono liberare dall’orizzonte del XIX secolo e come si possono aprire al mondo cosmopolitico del XXI secolo l’autocomprensione della grande nation, del nazionalismo e la categoria dello Stato nazionale democratico? Occorre allora distinguere chiaramente tra un fondamentalismo nazionale non-patriottico, che si rifugia nella nostalgia e si chiude all’Europa e al mondo, e un nazionalismo cosmopolitico, che ridefinisce i suoi interessi nazionali aprendosi al mondo, nell’alleanza cooperativa con gli altri paesi europei. Che l’Ue abbia un futuro dipende da una Francia europea, una Grecia europea, una Germania, una Spagna, una Polonia, un’Olanda, ecc. europee. Immaginiamo che in Gran Bretagna gli euroscettici prendano il sopravvento e che la Gran Bretagna esca dall’Ue. I britannici avrebbero allora un senso più chiaro della loro identità? Avrebbero più sovranità per decidere sulle loro faccende? No! Molto probabilmente gli scozzesi e i gallesi rimarrebbero nell’Ue; di conseguenza, si creerebbe una frattura dell’United Kingdom. E la Gran Bretagna – no, l’Inghilterra! – subirebbe una notevole perdita di sovranità, se per sovranità si intende il potere reale di influenzare le proprie faccende e le decisioni degli altri. Credo che la situazione storica sia assolutamente inequivocabile: l’Unione Europea è in grado di realizzare gli interessi nazionali più di quanto potranno mai fare le nazioni da sole. Perché si affermi questa convinzione, è necessario battersi in Europa per l’Europa.

(Traduzione di Carlo Sandrelli) . - Dell’autore è appena uscito in libreria Europa tedesca. La nuova geografia del potere, Laterza. Per un approfondimento di questi temi è anche disponibile il recente volume La crisi dell’Europa, il Mulino

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