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Piero Bevilacqua
Una rivoluzione che non russa
10 Marzo 2013
Libri segnalati
Una recensione al libro-intervista di Valentino Parlato a cura di Giancarlo Greco,
Una recensione al libro-intervista di Valentino Parlato a cura di Giancarlo Greco,

La rivoluzione non russa. Quarant'anni di storia del Manifesto. «Se siamo uomini e non anime belle, lo si deve proprio a questo, alla capacità di rimettersi in piedi dopo la caduta. Come dice un proverbio francese: “Cadere sette volte, rialzarsi otto"»

Segnalerei almeno due meriti in questo libro edito da Pietro Manni, San Cesareo di Lecce 2012. Il primo è che esso sistema con buon ordine una storia non facile da farsi, quella di un gruppo intellettuale che ha dato vita a un grande giornale, e, al tempo stesso, quella del giornale nel contesto tumultuoso delle vicende politiche della sinistra italiana, parte non marginale della storia d'Italia degli ultimi 40 anni. Il libro infatti ricostruisce la vicenda del gruppo dalla nascita della rivista, nel 1969, e dalla radiazione dal PCI, alla costituzione del quotidiano nel 1971 e alla nascita del gruppo politico e parlamentare del Manifesto, dalla costituzione del giornale a organo di partito, nel 1974, fino ad oggi. L'attuale durissima fase, nella quale il giornale rischia di terminare la sua parabola. In questa ricostruzione, che assume la forma del racconto, del ricordo, della testimonianza personale, si affollano figure e personaggi innumerevoli, si cadenzano e incalzano fasi e passaggi ricchi di eventi, talora burrascosi che precedono e seguono la vita del giornale: i fatti d'Ungheria, il '68, le lotte operaie dell'Autunno caldo. la caduta del muro di Berlino.
E si ricostruiscono momenti di gloria e fasi di sconfitta. Una narrazione a volte concitata, che si snoda tuttavia sempre in una prosa mai esaltata dalla ideologia, con il tono lucido e distaccato di chi non fa sconti neppure all'io narrante. Sotto questo profilo, come si usa dire, il libro si legge d'un fiato. Anche perché gli attori protagonisti della narrazione, a parte lo stesso gruppo del Manifesto, sono personaggi di primo piano della vita politica italiana del secondo Novecento: da Pietro Ingrao a Vittorio Foa, da Giorgio Amendola a Enrico Berlinguer. Si tratta dunque di un contributo che non è forzato definire storiografico, che si aggiunge alla varia letteratura sul Manifesto e che questo giornale certamente meritava. Cosi come merita lo sguardo critico e distaccato della rievocazione storica la vicenda umana, intellettuale e politica del gruppo che lo ha fondato e diretto per tanto tempo.

L'altro aspetto pregevole del libro è che l'autore , il quale parla in prima persona, non si gonfia mai il petto, anzi tende a rendere la propria voce di soggetto narrante la più dimessa possibile. Non si erge mai a protagonista, pur essendo, di quella vicenda, un protagonista indubbio: « notoriamente – scrive Valentino Parlato di se stesso – il più modesto e moderato del gruppo». Dove quel “moderato” non è meno autoafflittivo del “modesto”, visti gli umori di intransigenza radicale che circolavano nel sistema sanguigno di quel nido d'aquile. E tuttavia quella modestia che Valentino si riconosce, cosi come quella moderazione, sono delle virtù che fanno premio, non solo per l'equilibrio storico-politico che governa il libro, ma perché, a mio avviso – all'interno della storia di quel gruppo - gli hanno offerto una lungimiranza politica di più lunga lena rispetto ai suoi compagni. Certo, Valentino non ha alle spalle la storia intellettuale di una Rossana Rossanda o di un Lucio Magri, o l'acuta pervicacia di analista politico di Luigi Pintor.

Tuttavia la minore altitudine del suo pensiero l'ha tenuto più vicino alla realtà e gli ha permesso, ( è sempre una mia opinione) di afferrare con spirito pragmatico più aderente alle cose le trasformazioni che son venute sconvolgendo tanti vecchi assetti sociali e tante certezze interpretative. Questa stessa capacità spesso non hanno posseduto coloro che erano intellettualmente più “costruiti” e hanno maggiormente faticato a trovare letture confacenti ai brutali resoconti dei fatti consegnati dal processo storico. Intendiamoci, il gruppo fondativo del Manifesto, sin dalla nascita lucidamente critico nei confronti dell'URSS e delle burocrazie comuniste, ( a parte l'illusione cinese) non è stato certamente spiazzato dall' anno terribile dell'89. Non è questo che si vuole osservare. Quanto piuttosto – ma l'argomento meriterebbe studio e analisi meno occasionali di questa breve nota – il fatto che l'ordito intellettuale di quel gruppo (e di quella generazione ) poggiava su una analisi storica dei mutamenti sociali che non è stata più aggiornata come sarebbe stato necessario e forse impossibile. Soprattutto alla luce dello scenario degli sconvolgimenti ambientali che hanno spiazzato i paradigmi della cultura marxista-industrialista in cui si è formata gran parte della sinistra nel Novecento. Ma tale riflessione ci porterebbe lontano.

Io credo che Valentino Parlato proprio per la sua intelligenza politica sia riuscito più di altri ad attraversare la storia quarantennale del Manifesto con la capacità di interpretare i mutamenti che sconvolgevano di volta i volta i criteri di analisi di chi – come i giornalisti di quel giornale– non soltanto dovevano dar conto degli eventi quotidiani, ma dare persuasive letture del mondo ai loro militanti. E questo, a mio avviso, spiega anche la lunga fedeltà di Valentino al giornale, solo l'anno scorso dolorosamente interrotta. Una scelta, quest' ultima, che non condivido , che trovo in contraddizione con la sua storia e la sua personalità, anche se, ovviamente, rispetto profondamente.

Vorrei dare qui al lettore almeno un'idea, un'impressione di che cosa intendo per intelligenza politica, riferita alla condotta di Valentino Parlato come intellettuale e politico. Nel libro ci si imbatte in una dichiarazione rivelatrice, quasi una confessione, che mostra la sua capacità di sfuggire alle rigidità dogmatiche con cui, così spesso, l'ideologia ci mette in trappola. Ma nello stesso tempo indica una linea di condotta, una profonda motivazione esistenziale da porre a base della lotta politica. E tale motivazione costituisce il più raffinato e saggio antidoto ai colpi dello scacco e della sconfitta cui è esposto chi sfida le opache “necessità” della storia.

« Nella lunga lista delle idee innate – scrive Parlato - ce n'è una particolarmente resistente, difficile a morire, che vede nell'errore una sciagura. E' un'idea stupida. La vita dell'uomo, dalla sua nascita alla sua morte, è un insieme di tentativi a volte azzeccati, a volte miseramente falliti. E se siamo uomini e non anime belle, lo si deve proprio a questo, alla capacità di rimettersi in piedi dopo la caduta. Come dice un proverbio francese: “Cadere sette volte, rialzarsi otto”. E aggiungerei che l'unico modo per tollerare il logorio quotidiano della battaglia politica è credere in un avvenire migliore che non si realizzerà mai, in mancanza del quale per molti il motore della militanza finisce per diventare l'interesse immediato, il realistico, pragmatico, postideologico arricchimento della propria parte» (p.96)

Dunque, un dispositivo intellettuale, un manuale di resistenza e insieme un progetto di vita.In queste riflessioni è come racchiuso il paradigma del politico rivoluzionario del '900, di cui Parlato è rappresentante a pieno titolo. Ma con in più quel quid di realismo politico che gli ha concesso una perdurante giovinezza anche nel nuovo millennio.

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