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Alberto Asor Rosa
PD e M5stelle: entrambi devono scegliere
4 Marzo 2013
Società e politica
Pubblichiamo in ritardo due articoli, entrambi dal

manifesto (del 27 febbraio e del 1 marzo 2013), dell'intellettuale che forse meglio di ogni altro esprime l'opinione di chi sostiene la necessità di un'uscita "rosso-verde" dalla crisi del capitalismo italiano. In calce altri riferimenti al dibattito


27 febbraio
Pd e 5stelle ministri a rotazione

Infinite sono le cose che avremmo dovuto capire e non abbiamo capito. Ma prima di tentare di arrivare al nocciolo, vorrei fare alcune osservazioni in controtendenza. Sono rimasto colpito dalla vis polemica e dalla malcelata soddisfazione con cui commentatori di ogni colore e testata hanno salutato in tv e sulla carta stampata il fallimento del tentativo operato da Bersani e Vendola di conseguire una maggioranza autosufficiente sia alla camera, sia al senato. Tale coalizione, se non erro, è risultata tuttavia la prima fra quelle di ugual natura sia alla Camera sia al Senato, e alla Camera, porcello adiuvante, dispone della maggioranza assoluta dei seggi.

Non si va lontani dal vero, ipotizzando che la maggior parte di quei giornalisti e commentatori parteggiasse per un risultato che costringesse ad affiancare, a risultati non straripanti del centro-sinistra, il consenso, indispensabile e autorevole, anzi in pratica dominante, del professor Monti. Questo però non è accaduto: direi per la prevalente responsabilità della lista Monti, uscita in maniera miserrima dal voto, più che per quella del centro-sinistra di Bersani-Vendola. Tutto ciò dopo una campagna elettorale interamente giocata da tutti gli altri principali protagonisti, - Berlusconi, Grillo e in misura non inferiore lo stesso Monti, - allo scopo di sbarrare la strada al «riformismo possibile» di Bersani e Vendola: gli attacchi berlusconiani al ritorno al potere dei comunisti e quelli, non meno vergognosi, del professor Monti al «partito nato nel 1921», sono andati tutti insistentemente in questa direzione. Invece ora quel centrosinistra deve fare da sé, e non è detto che questo non sia un vantaggio.

Non vorrei riesumare la trita teoria del bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, ma in politica se uno non vede il bicchiere mezzo pieno non riuscirà mai ad affrontare e risolvere il problema del bicchiere mezzo vuoto (sono stanco, anche, stanco da morire, anche di quei nostri intelligenti amici e compagni, che non fanno altro che piangere sui danni che noi stessi ci siamo procurati e sulle macerie con cui, irrimediabilmente, ci tocca di avere a che fare). Allora io la vedo così. Il Presidente della Repubblica può, anzi deve, secondo la norma costituzionale, affidare l'incarico di formare il governo ad uno dei leader della coalizione che in una delle due camere abbia raggiunto una sicura maggioranza: in questo caso mi pare, ovviamente il centrosinistra, che alla camera ne dispone una assolutamente inattaccabile. Bersani, dunque: o un altro? Personalmente ritengo che sarebbe un errore cambiare Bersani con un altro. Bersani ha condotto inequivocabilmente la coalizione a questo risultato (il bicchiere mezzo pieno): cambiarlo sarebbe un escusatio non petita di quello che bene o male finora s'è fatto, una inutile confessione di debolezza e di confusione.

Deve seguirne una chiara proposta programmatica e istituzionale. Rivolta a chi? Andiamo per esclusioni. Considererei un errore strategico, destinato a produrre catastrofi ancor più rilevanti, l'idea di formulare un'ipotesi di grande coalizione con il centro-destra. Se questa idea dovesse cominciare a circolare e poi a prevalere nella coalizione di centro-sinistra, che dieci milioni di italiani hanno votato per ottenere il risultato opposto, tutto sarebbe puramente e semplicemente perduto. Ma io mi spingerei più in là: dobbiamo dire con chiarezza, o almeno fare capire, che non sappiamo che farcene del professor Monti e della sua agenda, l'uno e l'altra sono fra le cause predominanti dell'attuale crisi italiana (se lo avessimo detto mesi fa, non dovremmo dirlo ora con questo accento di rancore e persino di disprezzo nella voce).

Cosa resta? Mi pare che non resti che il Movimento 5 stelle. Attenzione: non parlo di un'alleanza di governo. La cosa che tutti (io per primo) abbiamo capito poco o niente è l'abisso che si è aperto in questi ultimi due decenni in Italia fra le logiche politico-istituzionali tradizionali, proprie di tutti, ripeto: tutti i partiti, e nuove logiche più dirette, immediate e partecipative di cittadinanza. Dunque, non è dall'alleanza che bisogna partire, ma dalle nuove logiche e dalle nuove cose di cui le nuove logiche sono portatrici. Ho ascoltato ieri almeno venti eletti del Movimento 5 stelle parlare in televisione delle cose che vorrebbero andare a difendere e sostenere in Parlamento. Vorrei che mi si credesse se osservo che, almeno in nove casi su dieci, erano le stesse cose, esposte con la stessa logica e quasi con le stesse parole, con cui gli uomini dei comitati della Rete, che io indegnamente in questi anni ho rappresentato, esprimono le loro esigenze e richieste, restando spesso, anche se non sempre, a bocca asciutta. Perciò la cosa non va presa dalla testa, ma dai piedi: quelli su cui si costruisce e si fa camminare un'impresa.

La proposta però non può essere né neutra né generica (valori indefiniti di moralità e di giustizia, appelli stratosferici al cambiamento, eccetera): va riportata al concreto delle spinte reali oggi in atto, che la “politica”, cioè i partiti, hanno misconosciuto finora. Dieci punti di programma, insomma, su cui far ruotare fin dall'inizio la vita del nuovo Parlamento. Non mi sfugge che esista un'altra sfera di interesse primario, che per il Movimento 5 stelle è per ora embrionale, mentre per il centro-sinistra è decisiva: si tratta ovviamente del lavoro. Difficilissimo, lo so, declinarle insieme: ma imprescindibile, se si vuole riprendere il bandolo della matassa. Per suturare le due spinte, - una che proviene più che dignitosamente da un lontano passato e che una si manifesta tumultuosamente dal caotico presente, - ci vorrà, prima che una grande abilità politica, una disponibilità mentale a 365 gradi. Persino la forma del governo dovrebbe tenere conto che l'interlocuzione con i soggetti dominanti ha cambiato natura.

Abominevole un governo di soli tecnici. Ma anche un governo di soli politici sarebbe in queste condizioni esiziale. Perché non pensare ad un governo che ogni sei mesi propone dieci nuovi differenti punti di programma e fa ruotare i responsabili della macchina sulla base delle necessità progettuali di volta in volta emergenti? Adottare criteri di verifica parlamentari ed extraparlamentari è tutt'altro che impossibile, anche tecnicamente: in talune regioni già ci si prova, perché non cominciare a farlo a livello nazionale? La rottamazione, in sé e per sé insensata, come parola d'ordine e arma di un gruppo contro un altro gruppo, può diventare la logica operante di un sistema politico rappresentativo, in cui il professionismo occupi uno spazio limitato e forse, in prospettiva, sempre più limitato. Questo bisogna provare a fare. Se non ci si prova, o non ci si riesce, allora bisogna tornare alle urne. Io vedo questo come l'apertura di una prospettiva peggiore di quella con cui ci troviamo ora a che fare. Spero che questo convincimento sia condiviso da tutti quelli che sono protagonisti di questo snodo decisivo

1 marzo 2013
Pd e movimento devono scegliere

Quanto è accaduto negli ultimi giorni richiede qualche precisazione. Grillo dichiara che il Movimento 5 stelle è disposto a votare singoli provvedimenti ma non la fiducia a questo o quel governo. Grillo non capisce o finge di non capire. Non capisce che, per esserci singoli provvedimenti da votare, deve esserci un governo che abbia riscosso la fiducia del Parlamento: senza questa seconda condizione ovviamente, non può esserci la prima. come se la fiducia consistesse nel voto su una serie di punti di programma, che vengono sottoposti tutti insieme all’approvazione delle camere: di fatto non è che il primo atto di una serie, lunga o breve che sia. Oppure finge di non capire che le cose stanno in questo modo, perché pensa che sia conveniente per il suo movimento che in questo momento ci sia una scelta obbligata per un governissimo nato dalla convergenza di centrosinistra e centro-destra. In effetti, se questa dovesse essere l’unica alternativa possibile, dopo un anno si tornerebbe al voto, il centro-sinistra o, più esattamente, il Pd ci arriverebbe frantumato e il Movimento 5 stelle presumibilmente aumenterebbe i propri consensi: per tentare di governare, allora, ma un paese ridotto ormai alla stregua di una rovina irriformabile e immedicabile.

Quindi, o s’imbocca la prima strada oppure Grillo indica solo la strada del disastro nazionale. Secondo punto. Da tempo immemorabile, nei sistemi democratici, votare o non votare un governo discende dalle scelte compiute in seno ai gruppi parlamentari. Cioè: sono o non sono gli eletti che decidono la linea in parlamento? Bisognerà dunque aspettare che il verso giusto della scelta democratica si ricomponga, anche da questo punto di vista, nei prossimi 15-20 giorni, per sapere come le cose sono destinate ad andare. D’altra parte, questo è anche il tempo utile e necessario per indicare seriamente quali siano le proposte destinate ad attivare la discussione parlamentare e a determinare eventualmente un voto di fiducia nei confronti dello schieramento, e al suo designato rappresentante, cui il presidente della Repubblica avrà affidato l’incarico di formare il governo: i quali non potranno che essere, per ragioni dette più volte, il centro- sinistra e Bersani.

Qui cambiamo fronte e ci spostiamo sull’altro versante. Il centro-sinistra non può limitarsi a enunciazioni di metodo e di buone intenzioni, madeve entrare nel merito. Ripeto, dieci punti, sui quali compiere una decisa inversione di tendenza rispetto al passato. Mi permetto di segnalare che finora non è mai comparso nell’agenda del centrosinistra anche solo uno spunto che riconduca alla gigantesca questione ambientale italiana: quell’insieme di temi e problemi, - difesa del territorio, lotta alle grandi opere, lotta allo sciagurato consumo del suolo, difesa e valorizzazione dei beni comuni, riconquista di un uso umano delle nostre città - che potrebbe costituire il tessuto basilare su cui ricostruire un diverso modo di concepire la politica e un diverso rapporto tra cittadinanza e istituzioni.

Il sospetto è che ai piani alti della politica se ne sappia poco, per non dire niente. È invece la materia su cui rappresentanti del popolo di tipo nuovo potrebbero ritrovare un’idea comune su cui convergere. Le differenze politiche e ideologiche diventano meno impegnative se si tratta di impedire che la logica del profitto stravolga la vita di tutti, in nome di valori che non ci appartengono. Se il centro-sinistra non scende risolutamente anche su questo terreno, sarà difficile ottenere in via straordinaria il consenso necessario per sottrarci a questo gorgo mortale.

Riferimenti utili

Su eddyburg abbiamo riportato, a proposito del dibattito sui risultati elettorali articoli di Barbara Spinelli, Stefano Rodotà, Diego Novelli, Salvatore Settis, Gad Lerner, Paolo Baldeschi e Piero Bevilacqua. Una discussione specifica sulle proposte di Asor Rosa è aperta sul sito della Rete dei comitati per la difesa del territorio

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