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Susie Cagle
Locali o bilocali che siano, i piccoli gesti non salveranno il mondo
30 Marzo 2013
Nostro pianeta
Le soluzioni individuali o limitate forse non cambiano il paradigma dello sviluppo, ma di sicuro indicano una prospettiva e una pratica da seguire. Una recensione e alcune riflessioni da

Le soluzioni individuali o limitate forse non cambiano il paradigma dello sviluppo, ma di sicuro indicano una prospettiva e una pratica da seguire. Una recensione e alcune riflessioni da Grist, 30 marzo 2013 (f.b.)

Titolo originale: Local schmocal: Why small-scale solutions won’t save the world – Scelto e tradotto da Fabrizio Bottini

Devo confessare una cosa: sono piuttosto scettica sull'efficacia degli stili di vita sostenibili. Certo mi piace tenere l'orto, andare in bicicletta, se posso compro prodotti locali. Ma non credo che queste mie scelte personali possano salvare il mondo: e neanche le vostre se è per questo. Non sono la sola. Provate ad esempio a chiedere a Greg Sharzer, frustrato militante marxista e ricercatore di scienze politiche alla York University, che pure va in bicicletta e compra caffè equo-solidale. Il suo libro No Local: Why Small-Scale Alternatives Won’t Change the World, è una doccia gelida sul genere di progressismo localista, una sfida in generale al concetto stesso di micro-soluzione. Localismo è strategia di sopravvivenza, scrive Sharzer, non movimento, e neppure soluzione:

Secondo i localisti si possono cambiare i rapporti col capitalismo. Se i consumatori non apprezzano un prodotto possono dimostrare di orientarsi verso un altro. Basta scegliere il sostegno a piccoli esercizi dalle pratiche eque, e pian piano scompariranno tutti i guai della crescita. Orti di quartiere, mercati contadini, biocarburanti prodotti in cooperativa, ad esempio, possono radicalmente cambiare le posizioni di potere dell'agricoltura industrializzata”.

E invece a parere di Sharzer ogni forma di progressismo localista fatto di piccoli gesti deriva solo da un “profondo pessimismo”, dalla sensazione che i problemi siano di proporzioni troppo gigantesche per essere risolti. Critica il modello delle scelte di stili di vita locali come modello per altri, che poi non si confrontano coi poteri in grado di renderci tutti dipendenti dal petrolio. Non è tanto che queste micro-soluzioni siano sbagliate in quanto tali: il fatto è che non si tratta di soluzioni. Comprare verdure biologiche prodotte localmente – magari addirittura coltivarle da sé – va benissimo, ma non sostituisce certo la lotta per i diritti di chi raccoglie insalata nei campi a pochi centesimi al cespo.

La base delle riflessioni di Sharzer è l'analisi marxista di classe, secondo la quale il localismo non riesce a cambiare il sistema. Vi risparmio qui la parte strettamente marxista (accomodatevi pure da soli) ma non quella sulla lotta di classe. Essenzialmente sostiene che se queste culture localiste “comprendessero” (virgolette indispensabili) il capitalismo, sarebbero già in piazza armate di forconi, invece che nei campi a frugare per raccattare un po' di carburante vegetale per le loro utilitarie. Insomma ci vuol spingere a pensare e agire globalmente, collettivamente, invece di pensare solo individualmente.

Certo non tutti interpretano il suo libro come ho fatto io. Cito qui una recensione comparsa su Post Carbon Living:

“[Sharzer] non coglie il punto. [il localismo] funziona proprio perché non sfida il capitale. Non è quello il suo scopo. Non ha questa ideologia. Non nasce da alcun dogma, si tratta di una soluzione pratica a problemi concreti, problemi che esistono sin dagli albori dell'industrializzazione. Problemi vecchi quanto la teoria marxista: ma là dove Marx offriva solo teoria, il localismo offre prassi”.

Sostituirei questa “prassi”, con “qualcosa di praticabile”. Non è che il localismo sia una soluzione pratica alla crisi: è meglio di niente. Ma anche se in fondo posso capire questa posizione, mi pare davvero assurdo rispondere al cambiamento climatico andando in bicicletta, e non chiedendo grandi cambiamenti economici e politici. Il che ci porta alla questione: se alla base di queste soluzioni fatte in casa esiste un profondo pessimismo, dove sta l'ottimismo?

Va sottolineato che il libro di Sharzer è uscito la scorsa primavera, un po' prima che fossero arrestate quelle mille persone che davanti alla Casa Bianca protestavano contro l'oleodotto Keystone XL. Un progetto che ha contribuito a catalizzare un movimento organizzato contro il cambiamento climatico, dove si intrecciano punti di vista sia micro che macro, in una prospettiva che va ben oltre lo specifico di. Il libro di Sharzer è anche uscito sei giorni prima che si prendesse possesso di un terreno a Albany, California, insediando una fattoria là dove invece si voleva costruire. Anche se questi contadini in stile Occupy sono stati poi sgombrati, e il terreno recintato, le trasformazioni in progetto hanno comunque subito un rallentamento, e alcuni dei proponenti si sono ritirati. Una piccola battaglia per un piccolo fazzoletto di terra, una risposta locale a un problema globale, ma quei contadini cercavano anche di costruire soluzioni che andassero oltre la dimensione micro, e la loro lotta ha avuto anche risultati più duraturi.

Quello che vediamo sia nelle proteste per il progetto Keystone che nel movimento Occupy non è certo la rivoluzione marxista (non credo ne vedremo mai una, caro Sharzer, ma se ne cogli qualche segnale fammelo sapere). Si tratta ad ogni modo di un'espressione di energia radicale, di energia ottimista. Anche Sharzer riconosce le possibilità delle piccole azioni quando si tratta di stimolarne di maggiori. “Nel quadro della lotta per il potere, i militanti costruiscono delle contro-istituzioni che affrontano direttamente i problemi comuni” scrive. “Si tratta del primo, solo del primo, passo sulla via del contropotere”.

Parecchie azioni locali sono davvero valide. E perbacco quanto sono buone le verdure locali. Ma non facciamoci troppe illusioni sulla vera efficacia delle nostre scelte di dieta: se carichiamo troppo di aspettative politiche quel che abbiamo nel piatto, finiremo per scordarci tutti i guai di scala superiore. Certamente le micro-soluzioni non sono prive di senso, da cosa nasce cosa. Ma serviranno a obiettivi più generali solo se non li perdiamo di vista. Condivido tutta la delusione di Greg Sharzer, ma non perdo la speranza. Magari questi micro-gesti non bastano, ma fungono da punto di partenza per una analisi più approfondita, per un maggiore impegno – se diventano movimento – che potrebbe crescere a dimensioni dannatamente macro.

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