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Matteo Sacchi
Vado a vivere in città (e sto meglio)
23 Febbraio 2013
Libri da leggere
Su un giornale di centrodestra, una recensione abbastanza comprensibilmente acritica a un importante studio, di area sostanzialmente neo liberista sulla città contemporanea, da leggere con le molle.

Su un giornale di centrodestra, una recensione abbastanza comprensibilmente acritica a un importante studio, di area sostanzialmente neo liberista sulla città contemporanea, da leggere con le molle. Il Giornale, 23 febbraio 2013, postilla (f.b.)

Uno dei mantra della post-modernità è stato ben riassunto dal cantautore Giovanni Lindo Ferretti. Nella sua canzone Barbaro salmodia con voce inquietante: «La civiltà-città si insinua in me... La civiltà-città mi allergica...». È infatti dai tempi di Henry David Thoreau e il suo Walden, ovvero La vita nei boschi (dato alle stampe nel lontano 1854) che una fetta sempre più larga del ceto intellettuale tuona contro l'urbanesimo. Non parliamo poi degli ultimi decenni, in cui impazzano utopie piene di decrescite felici e di precognizioni terroristiche degli eco-disastri a venire. La città è divenuta il simbolo del male/inquinamento da cui fuggire a gambe levate. Allora è con un certo sollievo che ci si imbatte nel saggio di Edward Glaeser Il trionfo della città (Bompiani, pagg. 586, euro 23).

Infatti questo economista della Harvard University, specializzato nello studio e nello sviluppo dei poli urbani, prova a riportare il dibattito e la questione ai fatti, e ai numeri. E i fatti e i numeri, tanto per cambiare, non assomigliano affatto a quelli propagandati dalla vulgata. Il punto di partenza alla fine è semplice. Riferito nella formulazione più terra terra, non ce ne voglia Glaeser, potrebbe ridursi a questo: «Ma possibile che milioni e milioni di esseri umani che per secoli e secoli hanno costruito città e spazi urbani fossero degli imbecilli animati dal solo scopo di vivere male e distruggere il pianeta?».

La risposta grazie al cielo è no. Glaeser esamina tutti i difetti delle città antiche e moderne a partire dai loro quartieri più degradati, ma dati alla mano dimostra che, come milioni di uomini hanno sempre intuito, si sta meglio intra moenia che extra moenia. Esistono slum orribili? È vero, ma «La povertà urbana non dovrebbe essere giudicata in rapporto alla ricchezza urbana, ma in rapporto alla povertà rurale. Le bindonville di Rio de Janeiro possono sembrare terribili se confrontate con i prosperi sobborghi di Chicago, ma il tasso di povertà di Rio è di gran lunga inferiore a quello presente nel nord est brasiliano rurale».

Altro dato statistico inoppugnabile è che nelle nazioni dove più della metà della popolazione vive in aree urbane, il 30% degli individui sostiene di essere molto contento. Nelle nazioni prevalentemente agricole il tasso di felicità scende al 25%. Un dato che diventa ancor più forte nei Paesi in via di sviluppo. Alla faccia di Gandhi - il quale sosteneva che «la vera India si trova non nelle poche città, ma nei suoi 700mila villaggi» - Glaeser ha studiato con attenzione lo sviluppo di Bangalore, polo creativo che esattamente come le città italiane del Rinascimento riunisce un numero di cervelli e una creatività senza pari, tutta dedicata al software. Persino nel mondo senza distanze dei bit e della rete la vicinanza fisica delle persone in luoghi come Bangalore resta un dato indispensabile: «La vicinanza degli individui nella realtà urbana favorisce il contatto infraculturale riducendo la drammaticità della comunicazione»

Vabbè direte, però le città in generale restano brutte e sporche... O per citare Henry Monnier: «Le città dovrebbero essere costruite in campagna, dove l'aria è più salubre». I dati scientifici sulla salute della popolazione ci dicono però che i newyorkesi sono i più sani tra gli americani. E che il tasso di suicidi tra i giovani che vivono nei centri urbani sono molto più bassi dei casi di suicidio dei loro coetanei che abitano nelle aree rurali. E poi si arriva alla famosa fingerprint della Co2. E qui, dati alla mano, chi vive in campagna e si sposta molto con l'auto per andare al lavoro, o deve riscaldare la sua vecchia casa colonica, finisce per impattare molto di più rispetto a chi sta in un appartamento sopra la fermata del tram. «Il consumo annuale di carburante per famiglia scende di 400 litri quando il numero di residenti per chilometro quadrato raddoppia». Alla fin fine, niente sembra essere più verde del manto di asfalto di una metropoli.

Certo la metropoli richiede anche progettualità e sforzo comune, non cresce da sola. E anche in questo campo Glaeser, che è anche capace di una prosa davvero accattivante, ha le idee chiare. «A fare le città sono le persone». Conta di più sostenere i cittadini e i loro bisogni che costruire costosi edifici pubblici. Conta più una buona rete idrica di una piazza monumentale. Funziona meglio una buona rete viaria che la costruzione di troppi edifici residenziali col giardinetto... Tanto da sentenziare: «Io prevedo che nel lungo periodo il tentativo novecentesco di creare un modello di vita suburbana apparirà più un'aberrazione che un nuovo inizio». Insomma aveva ragione il filosofo italiano Giovanni Botero: «Città s'addimanda una radunanza d'uomini per vivere insieme felicemente. E grandezza di città si chiama non lo spazio del sito o il giro delle mura ma la fortuna degli abitanti e la potenza loro». È il caso che gli urbanisti e i politici ci meditino, che lo facciano gli ecologisti radicali forse è troppo.

Postilla

Il vero problema è che Edward Glaeser si avvicina al tema della città con una prospettiva che più conservatrice non si può, da economista liberale qual'è, e per giunta giovane miracolato, con quel più di arroganza e sbrigatività che li caratterizza. Ovvero dotato di strumenti metodologicamente solidi e assai più legittimati della media per sviluppare i propri ragionamenti, ma sulla base di categorie assai schematiche per chi si occupa “davvero” di città in quanto forma complessa di aggregazione umana/ambientale. Per fare un piccolissimo esempio: quando Glaeser compila alcune schede significative di casi di città globali vincenti, concede questo privilegio anche alla nostra Milano, ma guardando ai suoi riferimenti bibliografici si scopre che ha ripreso tutto quanto da un'intervista di un operatore della moda rilasciata a un periodico di New York. Ma non voglio farla lunga, e il riferimento è al sito Mall, sia con una quantità di critiche a Glaeser, che con parecchi testi suoi tra cui proprio un estratto dal libro recensito, dedicato al grattacielo, che avevo tradotto a suo tempo (f.b.)

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