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Vittorio Emiliani
Su cultura e sviluppo va fatta una battaglia seria
3 Febbraio 2013
Beni culturali
Un appello al centro sinistra perchè rilanci il tema della cultura, distrutto dal ventennio berlusconiano e dall'indifferenza del governo dei tecnici. L'Unità, 3 febbraio 2013 (m.p.g.)

A venti giorni da un voto nazionale e regionale importantissimo che può chiudere un ventennio di berlusconismo distruttivo per la cultura e per l’identità nazionale, un ventennio di inquinamento profondo dei pozzi dei saperi fondamentali e di esaltazione provinciale dell’individualismo più becero, bisogna con maggior forza far entrare nel dibattito politico la “ricostruzione” della cultura italiana in ogni ambito. Essa è la leva forte per uscire dall’orrendo pantano in cui il Paese è stato cacciato, per una sua effettiva, durevole rinascita internazionale. Su questo punto altamente strategico il governo Monti purtroppo non è servito ad invertire la spinta berlusconiana verso un degradante declino. Anzi, il ministro Lorenzo Ornaghi è stato, per negatività, pari se non peggiore dei predecessori Galan e Bondi. Il budget del Ministero, già modesto rispetto ai Paesi sviluppati, è stato ancora tagliato con l’accetta: del 40 % nell’ultimo decennio. Per la parte riguardante la cultura la stessa Agenda Monti si è rivelata di una pochezza, di una banalità disarmanti confondendo cultura e turismo.

Il compito strategico di risollevare la cultura in generale e di farne, con la ricerca, la leva essenziale della rinascita generale del Paese spetta dunque al centrosinistra, alla sinistra, spetta al Partito Democratico anzitutto e al suo alleato Sel, a quanti sostengono questo blocco riformatore. Ma nel dibattito elettorale ciò si avverte ancora troppo poco rispetto al disastro in cui siamo precipitati: con archivi e biblioteche (eccezionali per storia e dotazione) ridotti a luoghi spenti e disertati, oggetto di autentiche ruberie come la vicenda dei Girolamini documenta, con grandi musei, alcuni da poco finiti di restaurare splendidamente, che lottano per rimanere aperti come devono, con la rete essenziale dei musei civici che rischia di sfibrarsi, con la didattica in generale, a partire da quella museale, azzerata, con Soprintendenze che non hanno mezzi né personale tecnico per garantire una vera tutela del patrimonio aggredito da ogni parte, specie nel paesaggio sfigurato e nei centri storici oggetto di nuovi insidiosi assalti. Mentre il Paese frana e smotta ad ogni pioggia appena battente, avendo anche in questo caso disossato le Autorità pubbliche, mentre la Lega Nord proponeva di gestire tragicomicamente regione per regione persino il Po e il centrodestra non istituiva le Autorità di Distretto votate in Europa. O si faceva avanzare lo smembramento, allo stesso barbaro modo, di Parchi Nazionali come Stelvio e Gran Paradiso, e si lasciavano gli altri Parchi in una condizione di indigenza che vuol dire impotenza contro speculatori edilizi, bracconieri, cacciatori, disboscatori, ecc.

Il Malpaese rischia dunque di sopraffare il Belpaese e anche gli appelli – come quello recentissimo per l’alluvione di Sibari (e parlo di Sibari, tesoro archeologico) – rischiano ormai di cadere nel vuoto, di non venire raccolti da una stampa sorda e dalla stessa Rai che ha cancellato le trasmissioni culturali o le ha relegate a notte fonda oppure all’ora dei pasti, se va bene. A Appiattita dunque sui peggiori modelli della tv commerciale.

Nell’era berlusconiana, proseguita, come una inarrestabile “onda nera”, anche col governo dei tecnici, si sono tagliati i viveri di sopravvivenza al cinema, pericolante e però sempre creativo, al teatro, che pure continuava a conquistare spettatori, alla musica di ogni genere, dal gregoriano al jazz, alle avanguardie. Certo che in passato vi sono stati, specie negli ex Enti lirici, sprechi, rendite parassitarie e ve ne sono ancora. Ma non è così che si interviene su un corpo malato se lo si vuole, se lo si deve curare. E lo si deve perché cinema, teatro, musica, balletto, arte, paesaggio sono o erano la nostra grande forza. Coi tagli lineari alla Tremonti si sono letteralmente amputate parti del corpo vivo della cultura. Il taglio dei trasferimenti erariali ha spinto i Comuni da un lato a schiacciare l’acceleratore dell’edilizia speculativa pur di fare cassa (senza curarsi dell’impatto orrendo sui paesaggi), dall’altro a ridurre l’attività culturale decentrata, a spegnere le luci di teatri storici restaurati e di moderne sale da musica e da prosa, con effetti a cascata di incalcolabile gravità.

Mille altre cose vi sarebbero da denunciare e quindi da proporre. Ma qui mi fermo, sottolineando soltanto come la formidabile “rete” dei nostri parchi e paesaggi, dei nostri quattromila musei, delle duemila aree archeologiche, delle centomila chiese, dei quarantamila castelli e torri, dei ventimila centri storici, di migliaia di biblioteche antiche e di decine di migliaia di archivi ecclesiastici e civili, degli ottocento teatri storici e di tanto altro ancora sia la nostra identità storica e sia anche, se tutelata adeguatamente, se fatta vivere decorosamente, gran parte dell’attrattiva turistica. Di oggi e ancor più di domani.

Eppure si calcola che il sistema produttivo della cultura occupi quasi 1 milione e mezzo di addetti. Perché il centrosinistra, la sinistra, il Pd non rilancia – a partire dall’”Unità” - una grande, generosa, illuminata battaglia per la Cultura come la madre di tutte le battaglie, anche del lavoro e dell’occupazione qualificata?

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