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Megalopoli, Secessionista, di Destra (per adesso)
27 Febbraio 2013
Articoli del 2013
Fra i risultati più vistosi del disastro elettorale italiano, l'incapacità di ascolto del centrosinistra, tutto, su un tema legato a doppio filo allo sviluppo socio-territoriale e all'urbanizzazione globale. Articolo di Paolo Berizzi, e intervista a Andrea Di Stefano di Luca Fazio,

Fra i risultati più vistosi del disastro elettorale italiano, l'incapacità di ascolto del centrosinistra, tutto, su un tema legato a doppio filo allo sviluppo socio-territoriale e all'urbanizzazione globale. Articolo di Paolo Berizzi, e intervista a Andrea Di Stefano di Luca Fazio,

la Repubblicail manifesto, 27 febbraio 2013, postilla (f.b.)

la Repubblica
Addio Padania, federalismo tramontato ora il sogno è il cantone con la Baviera
di Paolo Berizzi

MILANO — Chi è allergico alle meline linguistiche può ripescare l’ultimo Bossi. «Se vinciamo in Lombardia il Nord si stacca» (Repubblica, 3 febbraio). Adesso che la Lega, dopo Veneto e Piemonte, ha preso anche il Pirellone la domanda è: si fa o non si fa questa macroregione del Nord? E che cosa sarà, o dovrebbe essere, esattamente? Le nuvole che fino a pochi giorni fa galleggiavano nel cielo “padano” – «via alla macroregione del Nord», «è solo una bufala», «bella idea, ma irrealizzabile», se ne sono sentite di ogni – adesso si diradano: e ora il progetto è destinato a camminare, così almeno pare. Chiamatelo come preferite. Cantone. «Macroregione alpina».
Land settentrionale. In sostanza ci sono quattro Regioni – Lombardia, Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia – che vogliono confederarsi.

Si ritengono, di fatto, già unite da un «patto di solidarietà territoriale». Una «sintesi» che in soldoni sta nelle parole del neogovernatore Maroni il 16 febbraio a Sirmione (Bobo era ancora in campagna elettorale, la prima pietra del progetto fu posata simbolicamente sul Garda da tre presidenti di Regione più lui). «Se una Regione ha un problema, diventa il problema di tutti». Conviene partire da qui, dai «problemi». Anzi “dal” problema: le imprese. L’economia. «Dobbiamo preservare il nostro tessuto economico sulla base di rapporti di amicizia con la forza delle Regioni del Nord», ancora Maroni. La forza. Le quattro Regioni che sognano di «andare da sole» entrerebbero a far parte della «macroregione alpina» lanciata dalla Baviera il 29 giugno (accordo firmato dai presidenti del Nord Italia, della Carinzia, della Slovenia, e appunto della Baviera).

È questo, nella ridisegnata geografia del Carroccio post naufragio federalista, l’approdo finale, il «sogno». Sulla carta quella che verrebbe a delinearsi sarebbe l’area economico-manifatturiera più
importante d’Europa e del mondo: 70 milioni di abitanti spalmati su 49 regioni di 7 Stati, una superficie di 450mila chilometri quadrati con un prodotto interno lordo pro capite annuo di 22.800 euro. Un mega-motore europeo che però fa del localismo e dell’antieuropeismo
la sua cifra. Ma in che forma Lombardia, Piemonte, Veneto e Friuli si consocerebbero? Il concetto che ha in mente Maroni è quello di un «sindacato territoriale». Una sorta di cartello contro la pressione del fisco e a difesa del patrimonio delle aree interessate. «Un patto, faremo un patto». L’hanno ripetuto come un mantra i governatori del Nord: i tre leghisti Maroni, Cota e Zaia, e il pidiellino friulano Renzo Tondo. Il «patto». Ognuno l’ha declinato a modo suo. Per Cota è un «patto di solidarietà». Per Zaia un «patto d’attacco, di legittima difesa contro la cialtronaggine nazionale ». «Parlare di macroregione significa confrontarsi in Europa per proporre un modello cantonale come la Svizzera», ha ragionato ieri il presidente veneto senza risparmiare una stoccata a Flavio Tosi («non è che la Csu italiana se la fanno in tre in una cabina telefonica »).

Zaia è l’unico che in Veneto è riuscito a arginare l’emorragia di voti leghisti. Al modello bavarese lui, e non è il solo, sostiene di preferire quello dell’Svp in Alto Adige. O quello già abbozzato del Gect, l’Euregio senza confini sottoscritto a Venezia tra Veneto, Friuli e Carinzia. Si tratta di «nuove forme di collaborazioni sovraregionali anche transfrontaliere», “cartelli” senza confini ma nei quali ogni realtà mantiene la propria identità territoriale. Un altro precedente è quello dell’euroregione Alpi-Mediterraneo attiva dal 2007 tra Piemonte, Liguria, Valle d’Aosta, Provence- Alpes-Cote d’Azur e Rhone- Alpes.

E la “Padania”? Nessuno ne parla più. Era stato uno dei primi comandamenti del nuovo corso Maroni: basta fantaregioni, meglio la parola «Nord»: più concreta, propedeutica al «patto» macroregionale. Tra il dire e il fare, però, c’è di mezzo qualche ostacolo. Per esempio la Costituzione (dovrebbe essere modificata tranne che si sfrutti l’art. 132 che disciplina la fusione di nuove Regioni, e comunque è il Parlamento che decide). Di più: le euroregioni già esistenti (più di cento) sono sì partecipate da soggetti territoriali dell’una e dell’altra parte dei confini, ma non presuppongono nuovi livelli di amministrazione. Poi c’è il Pdl, che al netto di un «accordo elettorale nero su bianco» (Maroni), non sembra essere proprio appassionatissimo al tema. C’è stato un tempo in cui il sogno leghista si chiamava federalismo. Poi è andata come è andata. Ma in via Bellerio in queste ore nessuno ha voglia di ricordarlo.

il manifesto «Perdiamo perché non abbiamo espresso la radicalità del M5S»
intervista a Andrea Di Stefano, di Luca Fazio

MILANO - Sembra trascorso un secolo da quando la sinistra aveva pescato il jolly per cercare di accompagnare Ambrosoli in cima al Palazzo della Regione Lombardia. Andrea Di Stefano, capolista di Etico a Sinistra, direttore della rivista di finanza etica Valori, aveva ridato fiducia a un elettorato deluso dagli ormai ex partiti della sinistra storica (Prc, Pdci, Verdi).

Un disastro, te l'aspettavi una sconfitta di queste proporzioni?Sinceramente mi aspettavo almeno un testa a testa. Tutti noi abbiamo sottovalutato la forza del centrodestra e soprattutto il voto grillino, quelli erano voti nostri.

Eppure, ancora adesso, molti a sinistra parlano di deriva populista e voto fascista, prevale il livore sull'analisi.Ritengo questo atteggiamento profondamente sbagliato, prima e tanto più dopo il voto. Si tratta di un segnale chiaro e democraticamente ineccepibile. E' evidente che i vecchi stilemi della sinistra ormai sono morti, probabilmente la nostra coalizione è stata vissuta dall'elettorato come vecchia e superata, e l'abbiamo pagata molto cara.

Altri errori compiuti durante la campagna elettorale?Direi che siamo stati titubanti su alcuni temi. Avremmo dovuto dare l'idea di un cambio radicale su tematiche centrali come le grandi opere, la gestione del territorio, se non altro per soddisfare quella domanda reale di cambiamento che si respira girando per la regione. Il voto grillino è un voto radicale, e noi non lo siamo stati abbastanza. Basta dare un'occhiata al programma dei grillini per comprendere che quel 13% della loro candidata esprime una cultura a noi molto vicina.

Il centrodestra in Lombardia era ai minimi storici, frantumato dagli scandali, infiltrato dalla 'ndrangheta. Perdere oggi significa non vincere mai più.E' la sconfitta più grave. Non siamo stati in grado di dare un segnale di discontinuità. E' stato un errore anche caratterizzare la campagna sfruttando la presenza dei leader nazionali, non siamo riusciti a rappresentare una rottura col passato.

La sinistra non esiste più. Ti sembra possibile ripartire da zero, o è davvero finita?Anche la lista Etico a Sinistra ha sofferto la classica alchimia delle segreterie dei partiti che respinge l'elettorato. Ma non considero di destra il voto grillino, è una ripartenza democratica con cui si può dialogare, dimostra che il messaggio conta più delle persone e dei candidati, del resto chi li conosceva i nuovi eletti lombardi del M5S? Nessuno. Per cui bisogna ricominciare ragionando a partire dai contenuti, con meno spocchia e molta umiltà: sai quanti sono i militanti dell'Arci, per esempio, che hanno votato Grillo?

Eppure una parte della sinistra sembra ancora troppo sotto botta per un approccio meno pregiudiziale.Invece io penso che l'esito del voto dimostri che siamo un paese avanzato dal punto di vista democratico, perché laddove c'è stato un voto di protesta contro le sciagurate politiche economiche europee sono nate formazioni di estrema destra, come Alba Dorata. Si possono non condividere posizioni forti tipo l'uscita dall'euro, ma non per questo si deve rifiutare un confronto con l'M5S.

La tua carriera politica è terminata?Sono rimasto molto coinvolto da questa esperienza, ma devo riflettere.

Beh, prima o poi a Palazzo Marino la sinistra dovrà rieleggere un sindaco.Va beh, ne parliamo un'altra volta...

postilla
Non mi pare affatto importante aggiungere una irrilevante voce allo sterminato coro (sono in tantissimi a sostenerlo, oggi) del noi l'avevamo detto, che così vi stavate scavando la fossa. C'è, di sicuro, un verificato consenso popolare su alcuni temi centrali, per nulla ascoltati dalla politica o relegati in terza e quarta fila, ma colti intuitivamente dalla Lega di Maroni, che naturalmente li declina a proprio modo e vantaggio. Quello della Megalopoli è forse il principale, il contenitore di tutto, per sommare i grandi interessi alle aspirazioni individuali e locali. E sarà certamente il caso di tornarci sul tema in questo sito, perché più che mai società, politica, città, territorio, ambiente, sviluppo, democrazia e partecipazione là dentro già convivono, in una specie di coppia di fatto aperta. Da interpretare, e non da negare o peggio ideologicamente, ciecamente reprimere. Anche perché Savonarola non porta neppure voti (f.b.)

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