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Francesco Bertolini
Stili di vita e trasporti
7 Gennaio 2013
Milano
La condivisione di automobili e biciclette, gli spostamenti a piedi e coi mezzi pubblici, ma il futuro sta in un’idea diversa di comportamenti, e relativi spazi.

Corriere della Sera Milano, 7 gennaio 2013, postilla

La storia dei trasporti è una storia di rivoluzioni, caratterizzate prima dalla ricerca di maggiore rapidità negli spostamenti, in un secondo momento dai diversi tipi di carburanti disponibili e, negli ultimi anni, dai problemi ambientali che molte tipologie di trasporti generano. Si pensi che, quando venne introdotta l'automobile, i gas di scarico erano considerati meno inquinanti dei residui solidi e liquidi prodotti dai cavalli, che nell'Inghilterra urbana del diciannovesimo secolo furono stimati in circa 6 milioni di tonnellate all'anno. Oggi quando incontriamo un cavallo lo guardiamo felici e lo associamo a un ambiente sano e naturale.

Tutto cambia quindi, anche il concetto di tempo e spazio, i due fattori chiave legati alla mobilità. Oggi, soprattutto in città come Milano, non si misurano più le distanze in chilometri, ma in tempo necessario per percorrerle; e allora entrano in scena le opzioni. Spesso escludiamo a priori il mezzo primario per muoverci in città, e cioè le nostre gambe, camminare è una di quelle attività che in città sembra essere stata dimenticata. Ci sembra di camminare molto ogni volta che il nostro appuntamento è a 300 metri dall'uscita della metropolitana; si gira in continuazione cercando un impossibile parcheggio pur di non dover fare qualche metro a piedi. Ma se camminare nelle nostre realtà metropolitane è considerato ormai solo una perdita di tempo, per centinaia di milioni di persone nel mondo continua a essere l'elemento caratterizzante delle loro giornate. Escludendo, per le distanze più lunghe il sistema più antico, il più delle volte la macchina è l'opzione peggiore, in termini di tempo, in termini economici, in termini di stress e di inquinamento atmosferico.

Quest'ultimo aspetto è tuttavia un aspetto legato a un cosiddetto bene comune e, come tale, non sempre e non da tutti percepito come critico, nonostante la cultura politically correct ci dipinga una opinione pubblica disponibile a qualunque tipo di sacrificio per il supremo bene della collettività; purtroppo non è così. Ma quando il beneficio pubblico e il beneficio individuale coincidono si è forse trovata la strada più idonea per la ricerca di un sistema di mobilità urbana più sostenibile.

Da anni utilizzo il bike sharing del Comune di Milano, un sistema che elimina lo stress da furto di bicicletta, tristemente cosi diffuso a Milano, elimina il problema del parcheggio, spesso paradossalmente difficile da trovare nel centro di città, dove ogni palo a cui legare la bicicletta è ricercato come in una caccia al tesoro; è inoltre un sistema sostanzialmente economico e che introduce la condivisione, presupposto fondamentale per creare davvero un' attenzione generale verso i beni comuni. Sta faticosamente partendo anche il car-sharing, molto più diffuso in molte altre città europee, dove la rinuncia alla macchina di proprietà è una scelta sempre più diffusa, con ricadute positive per l'intero territorio. È la strada giusta, percorriamola con decisione.

Postilla
Pare quasi naturale tornare alle varie critiche pubblicate su questo sito al nuovo piano urbanistico di Milano, sia sui due aspetti di merito esplicitamente sottolineati negli interventi (la mancata scala metropolitana e la rete della mobilità), sia sul metodo, che parrebbe non garantire una minima qualità spaziale, se è vero come sostenuto che si affida sostanzialmente ai medesimi soggetti e alla loro discrezionalità il processo di trasformazione. E allora si comprende che l’auspicio di una mobilità più sostenibile, costruita su diversi stili di vita, potrebbe a breve termine cominciare a scontrarsi con l’insufficienza sia della buona volontà dei singoli, sia del sistema entro cui devono svilupparsi questi auspicati stili di vita. Basta scorrere di nuovo l’articolo, ad esempio, per capire a quale tipo di utenza media si sta pensando: uno spostamento urbano semplice, diciamo casa lavoro, andata e ritorno. Che percentuale coprono, nella loro forma pura, questi spostamenti? Sono davvero così preponderanti nel degrado ambientale complessivo a cui si vorrebbe rimediare? Non ci si rivolge, come spesso accade affrontando le questioni con questa prospettiva un po’ elitaria, ai soli vicini di casa o colleghi di chi sta scrivendo l’articolo, escludendo allegramente il famoso 99% del problema? Ecco, forse qualche riflessioni in più sulle decine di migliaia di poveracci che sono materialmente costretti a usare l’auto per pura mancanza di alternative decenti (che non sono solo linee di mezzi pubblici) non guasterebbe, se si vuole andare oltre le buone intenzioni e le mode di quartiere bene (f.b.)

Nota: per chi volesse leggere direttamente a proposito della faccenda della cacca di cavallo che inquinava più degli scarichi delle auto, consiglio il bell'intervento all'alba del '900 a un convegno europeo di una vera e propria leggenda dell'urbanistica moderna, l'autore del Piano di Chicago Daniel Burnham, che ho tradotto su Mall col titolo La Città del Futuro governata democraticamente (Londra 1910)

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