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Laura Asnaghi
Quelli che sognano la High-Line
20 Gennaio 2013
Milano
Sievocano atmosfere e terminologie americane per un progettointeressante, ma che rischia di nascere monco proprio di queglielementi di innovazione. La Repubblica Milano, 20 gennaio 2013,postilla (f.b.)

Sievocano atmosfere e terminologie americane per un progettointeressante, ma che rischia di nascere monco proprio di queglielementi di innovazione. La Repubblica Milano, 20 gennaio 2013,postilla (f.b.)

L’ISOLAcerca di ricucire una “ferita” vecchia di 60 anni. È ilcavalcavia “Eugenio Bussa”, lungo 300 metri, sospeso sopra iventi binari della stazione Garibaldi e il super trafficato vialeSturzo. Che fare di questa striscia d’asfalto, così inospitale edegradata ma fondamentale per unire l’Isola all’area di corsoComo? Il modello c’è ed è l’High Line, la vecchia ferrovia diNew York trasformata in un giardino sopraelevato con passeggiatapanoramica.

Conla differenza che qui si manterrebbe la percorribilità in auto, ma abassa velocità. I progetti elaborati all’Isola sono ricchi diproposte, per la prima volta cittadini, tecnici del Comune, designere architetti si sono messi insieme e hanno elaborato otto progetti.Il filo conduttore che li unisce tutti è quello di rendere vivibilee bello il cavalcavia con tanto verde, spazi per i bambini, ilmantenimento della pista ciclabile e un percorso per le auto, più unbar, una piazza attrezzata per incontri e un posto per gli spettacolie speciali strutture per godersi il panorama: da una parte i nuovigrattacieli di Garibaldi e dall’altro le montagne, una vistaspettacolare nei giorni in cui il cielo è limpido.

Negliotto progetti si ridisegna tutto, compresi gli innesti del cavalcaviada via Quadrio e da via Borsieri, in modo tale da ricucire per semprequella ferita, frutto di un “asse attrezzato” di un pianoregolatore del 1953, che intendeva spazzare via un’ampia fetta delquartiere. Il piano per rilanciare il ponte Bussa si chiama “Lacharrette”» ed è un esempio di “progettazione partecipata”che gli assessori Lucia De Cesaris (Urbanistica) e Daniela Benelli(Area metropolitana) intendono utilizzare anche per altre iniziativemilanesi, “in modo da ridisegnare la città insieme ai cittadini”.I progetti elaborati all’Isola sono stati messi in rete (“Garibaldie l’Isola partecipata”) ma il “confronto creativo” continueràa breve con l’esposizione dei rendering e dei modellini di cartoneall’Urban Center in Galleria. Poi la parola passerà al Comune, cheall’Isola, quartiere in grande evoluzione, intende realizzare ancheun Centro Civico, sempre consultando gli abitanti della zona.

Postilla
Esistonodue tipi di sogni: quelli belli dove progettiamo a modo nostro il mondo ideale, e quelli un pochino disturbati e contraddittori. Il secondo è tipico di quando si sonomangiati i peperoni della zia a cena, con quella sua cucina troppograssa e pesante: questo sogno della High Line alla milanese, a unirenon solo idealmente due quartieri separati dalla ferrovia (e cheferrovia) certamente non è un incubo, ma del tormentato su e giùimposto dalla peperonata della zia conserva più di qualcosa. Saràche non siamo abituati alle pietanze americane, ma almeno raccontatacosì la faccenda manca di qualche ingrediente essenziale alla buonadigestione. Che quel ponte a galleggiare da parecchi anni nel nullafosse un'occasione sprecata per la città lo sanno tutti, tranneovviamente le ex amministrazioni di centrodestra, che l'hannolasciato lì, al massimo a fare da sfondo ai videoclip del generealienazione metropolitana de noantri, o alle occasionali sfilate deiguru della moda. A questo si aggiunge lo strampalato (a esseregentili e non pensare proprio male) approccio dei progettoni ditrasformazione privata in corso, attentissimi a guglie vertiginose eindici di metri cubi, ma a dir poco svogliati quando si tratta dicostruire qualità urbana tangibile. Però la High Line originale di New York non è unprogetto principalmente spaziale. Nasce da una lunga riflessione di ordinesocioeconomico, piuttosto partecipata localmente, per il rilanciodelle attività e dei valori immobiliari di un ambito degradato dapolitiche di trasporto e zoning funzionale miopi. Gli architetti, gliagronomi a studiare e sperimentare essenze che crescono anche senzamanutenzione, a studiare il recupero della vecchia infrastruttura apasseggio e parco, sono arrivati dopo. La “charrette” (termineripreso dagli esami finali della parigina Ecole de Beaux Arts, dove icandidati saltavano anche all'ultimo minuto sulla carriola che ritirava i voluminosi rotoli degli elaborati, per ritoccare i disegni) è invece un processopartecipativo sì, ma che di solito è verso il basso, finalizzatosoprattutto a convincere i cittadini, recependone solo spuntisuperficiali e formali. Insomma ottima cosa cercare di allontanarsidall'urbanistica delle densità regalate agli amici e perequate da unangolo all'altro della città, ma perché i cittadini saltino davverosul carro delle politiche urbane bisogna farne ancora, della strada(f.b.) Qui sotto un esempio di uso "scenografico" tamarrissimo della futura High Line alla milanese, nell'epoca trionfante del socialismo craxiano locale


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